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Burrone di Mezzocorona, il canyon delle emozioni

All'uscita del tratto attrezzato che rappresenta l'unica vera difficoltà del percorso (Mafrici)
All'uscita del tratto attrezzato che rappresenta l'unica vera difficoltà del percorso (Mafrici)
Burrone di Mezzocorona

La valle dell’Adige è un giacimento naturale che ad ogni passo rivela ambienti sorprendenti e quasi incontaminati. Per la sua morfologia è ricchissimo di pareti rocciose ma anche di profonde forre scavate dall’acqua in milioni di anni. Sbagliatissimo ritenerla solo la via di accesso più breve alle Dolomiti.

Lungo il letto che l’Adige si è scavato nella roccia nel corso di milioni di anni, modellato poi dalle glaciazioni, si trovano una serie di canyon fra i più belli d’Italia, che regalano grandi suggestione, come al solito a costo quasi zero. Uno dei più spettacolari è sicuramente il Burrone di Mezzocorona, nel quale da oltre un secolo passa la ferrata Giovanelli, un percorso attrezzato facile, che però impone l’uso di imbrago, kit da ferrata e caschetto.

Siamo fra Trento e Bolzano, esattamente a Mezzocorona, vicino all’uscita autostradale, da dove una stradina permette di arrivare alla partenza della via (segnalazioni poco visibili), che è raggiungibile anche da Mezzolombardo (percorso obbligato in questi giorni a causa di lavori). Volendo, si può anche parcheggiare alla partenza della funivia, di solito usata per il rientro, dove sbocca anche il sentiero di discesa; da qui, passando per il centro di Mezzocorona, si va a destra e in mezz’ora si arriva all’attacco della ferrata (cartelli, 234 m).

Si sale nel bosco fino a un bivio, dove è segnalata una variante a sinistra che porta a una scenografica cascata, e affronta direttamente la parte bassa della forra, sicuramente il tratto più esposto e difficile di tutta la ferrata, con una serie di staffe in esposizione che risalgono la parete fino a sbucare sul sentiero principale (che al bivio sale invece a destra). Dove i due tracciati si incontrano, iniziano di fatto le vere attrezzature. Tutto agevole comunque in questa sezione della via, dove i cavi servono più che altro a dare sicurezza.

Dopo una prima facile scaletta, si risale fino ad abbordare l’ingresso vero e proprio del Burrone (430 m). La spaccatura nella roccia venne individuata all’inizio del ’900 da Tullio Giovanelli, medico condotto di Mezzocorona, e già nel 1906 venne aperto il percorso di accesso, in seguito dedicato allo scopritore. L’accesso è reso un po’ difficoltoso da una specie di galleria obliqua che introduce al canyon vero e proprio. Si scende nel greto del torrente e si affronta un secondo tratto verticale, aiutati dalle staffe, fino a sbucare su un ripiano. Quindi, superato un nuovo gradino attrezzato, si percorre l’oscuro fondo della gola, in ambiente suggestivo e primordiale, schiacciati da altissime pareti di roccia che quasi si toccano e dove il sole fatica a penetrare. In alto, una striscia di cielo aumenta la sensazione di isolamento.

Sembra di essere in un mondo «altro» e se incontrassimo un uomo di Neanderthal, là sotto, non ci stupiremmo più di tanto, tale è l’immersione nell’orrido, il cuore del burrone. Si percorre il canyon zigzagando fra i sassi e il corso del torrente: visto che l’acqua non manca mai, meglio avere a mio parere buoni scarponi impermeabili più che le scarpette ed evitare il percorso dopo forti piogge. Risalite alcune facili rocce particolarmente scivolose, il canyon si allarga e si apre a destra un suggestivo canalone secondario. Davanti a noi appare uno degli altri gioielli che si possono ammirare nel Burrone di Mezzocorona: una cascata alta circa cento metri, che ha modellato la roccia in maniera davvero stupefacente.

Quando la portata non è elevata l’acqua precipita e si polverizza ricadendo poi sulla parete sottostante, creando un sottile velo che scorre fino alla base del salto di roccia. Uno spettacolo della natura che non avevo mai visto. La ferrata prosegue lungo il torrente risalendo a sinistra il canyon, con una serie di risalti rocciosi facili ma decisamente umidi, fino a quando un ultimo tratto di scalette verticali ci porta sopra la cascata, dove le difficoltà e le attrezzature terminano. Fin qui circa 2 ore, 650 metri di dislivello.

Si cammina in salita nella bella faggeta, con i piedi finalmente all’asciutto, accompagnati dalla segnaletica del Cai, che va seguita evitando altre stradine che intersecano la traccia (tenere il sentiero 505 direzione Monte), fino a sbucare alla Bait dei Manzi (858 m), dove una sosta è d’obbligo e dove, fra gli alberi, si può ammirare uno scorcio delle Dolomiti di Brenta. Siamo a 876 metri di quota, in un ambiente che ispira grande serenità. Per il rientro si percorre la bella stradina forestale che segue una lunga cengia a strapiombo sulla piana rotaliana e in una mezz’ora si arriva all’abitato di Monte. Il paesino, poche case e tre alberghi, è in posizione eccezionale sopra Mezzocorona, su un gradone boscoso ai piedi la Cima di Roccapiana.

Un luogo di assoluta pace e tranquillità, l’ideale per un buen ritiro, a 892 metri di altezza, lontani dal mondo eppure vicinissimi, ad appena cinque minuti dal paese, grazie alla piccola, ripida funivia che collega con il piano (corse ogni quarto d’ora). Chi vuole camminare ancora, può scendere lungo il bel sentiero segnalato, che in un’oretta sbuca sul piazzale davanti alla stazione di partenza della funivia. Si raggiungono le case di Mezzocorona, quindi si va a destra e seguendo le segnalazioni biancorosse del Cai, in mezz’ora si torna alla macchina.

Claudio Mafrici

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