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L'intervista

Chiara Pavan, la cuoca stellata che protegge la sua isola cucinando granchi blu e salicornia

L'intervista alla ristoratrice veronese che vive e lavora fra gli orti e i vigneti eroici della tenuta di Venissa in Laguna
L'isola di Mazzorbo e Chiara Pavan
L'isola di Mazzorbo e Chiara Pavan
L'isola di Mazzorbo e Chiara Pavan
L'isola di Mazzorbo e Chiara Pavan

Il mare, l’orto, la cucina. Acqua, terra, fuoco. Gli elementi del mondo di Chiara Pavan, la cuoca veronese del ristorante Venissa, si inseguono nei pochi chilometri quadrati di Mazzorbo, isola di meno di 300 abitanti a mezz’ora di traghetto da Venezia. La tenuta della famiglia Bisol ospita un vigneto eroico che sfida il mare e degli orti che riforniscono l’osteria e il ristorante, che la guida Michelin ha premiato con la stella «tradizionale» e con quella verde per la sostenibilità.

Chiara, 39 anni quest’anno, è la cheffe («cheffe», spiega gentile, «alla francese. In Francia si usa il femminile, una chef donna è una cheffe, uguale in Germania, solo in Italia si usa solo il maschile»), del Venissa dal 2017. Di lei si possono dire tante cose: che in cucina ci è arrivata direttamente dalla facoltà di filosofia, che da qualche anno i fornelli li divide con il compagno Francesco Brutto, che gira il mondo ed è coinvolta in progetti per la sostenibilità e che forse vi è capitato di vederla anche a Masterchef.

Ma il modo più giusto per cominciare a raccontarla è l’immagine di lei che, davanti al ristorante, vede riempirsi un piccolo retino di granchi blu che si arrampicano uno dietro l’altro. «Qui siamo testimoni del clima che cambia, Venezia stessa è l’emblema del cambiamento climatico».

Cioè?
Sono qua da otto anni: abbiamo avuto l'acqua alta del 2019 e poi quella del 2023, quando il Mose ha salvato la città. La frequenza sempre maggiore di questi eventi fa capire che qualcosa è cambiato. E poi la grande siccità del 2022: per colpa del cuneo salino abbiamo avuto una percentuale di sale altissima nel terreno, avevamo 20 alberi da frutto e in quei mesi sono morti tutti, oltre a un terzo del vigneto. Non è stato più possibile coltivare i cetrioli o altre piante che hanno bisogno di molte acqua. E nel frattempo si è ricoperto tutto il Veneto orientale di salicornie e altre specie alofite, qui nella tenuta ne abbiamo quattro.

 

Chiara Pavan
Chiara Pavan


Veniamo al granchio blu...
L'altra cosa che è successa è che cambiata in modo evidente la fauna acquifera. Quando sono arrivata, nel 2017, si trovavano anguille, moeche e seppie, l'anno scorso invece, ad esempio, non c'è stato nulla. C'erano solo granchi blu, io uscivo con i pescatori e ogni due ore si riempivano le loro nasse di granchi. Delle amiche hanno fatto delle startup per vendere granchi blu in Cina e negli Stati Uniti e i miei pescatori ogni mattina davano loro cento chili di granchi blu. Avevamo già cominciato già 3-4 anni fa a cucinarli, ma c'è stato un picco incredibile l'anno scorso.

Abbiamo notato che li chiama «i miei» pescatori
Già (ride)… i miei pescatori sono persone a cui sono molto legata, vivono qua. Già definirli pescatori è difficile, stanno cercando di convertirsi al pescaturismo, per portare in giro i turisti. Ormai in laguna di pesce ce n’è sempre meno.

Il vostro menù è cambiato di conseguenza...
Abbiamo introdotto alcune specie difficili da trovare nel mercato perché non c'è richiesta, dedicando un menù a queste specie: vegetali e specie invasive dell’Alto Adriatico. Non cuciniamo la carne da quattro-cinque anni, è anche una scelta ecologica. Il problema sono gli allevamenti. Abbiamo aumentato la parte vegetale, il pesce è caccia e quindi più sostenibile, è la grande pesca che distrugge l'ecosistema.

I prodotti che usate sono tutti locali?
Il menù è cento per cento dell'isola, abbiamo messo in piedi una rete di piccoli produttori, che ci forniscono le verdure che non riusciamo a coltivare noi. Abbiamo una persona che produce la farina a cinque chilometri di qui, abbiamo creato, anzi, partecipiamo a una piccola autonomia di zona. Non credo nell'autarchia ma nelle connessioni con le altre persone che abitano qui.

È complicato vivere e lavorare in un posto del genere?
È difficile e limitante. Noi siamo su un'isola di Venezia, un posto già difficile da vivere di per sé, perché fatto per i turisti e non per i residenti. Andare dal medico o in palestra è complicato, puoi al massimo vedere delle bellissime mostre (ride). Anche se il mio lavoro in questi anni è cambiato e viaggio tanto: ho la possibilità di vedere posti doversi e conoscere molte persone.


Com’è il rapporto con gli altri abitanti dell’isola?
Ci sono degli orti, che sono in parte gestiti da noi del ristorante, circa 500 metri quadri, e altri 6-700 divisi in piccoli appezzamenti ,dati in gestione a famiglie di Mazzorbo e Burano: signori e signore anziane con i quali ho ottimi rapporti, ci scambiamo consigli su quello che coltiviamo, come il carciofo violetto di Sant'Erasmo.

Ma una filosofa come c’è finita a fare la cheffe?
Ho lavorato nelle cucine quando ero all'università a Pisa, alla fine non ho mai avuto professioni che c'entravano con le cose che ho studiato. Ho fatto delle stagioni, poi ho deciso di specializzarmi e ho seguito un corso di alta cucina all'Alma di Parma. Da lì ho cominciato a lavorare in ristoranti stellati e nel 2017 sono finita qua.

Quante persone lavorano da voi?
Nella tenuta lavorano 60 persone. In cucina siamo in 11 al ristorante gastronomico, in osteria sono 4-5 più la sala. Ristorante e osteria cucine diverse, anche se la parte creativa la sempre facciamo noi.

È vero che state cercando di rendere meno «impossibili» le condizioni di lavoro?
È un discorso ampio che sta affrontando tutta la ristorazione: nei ristoranti stellati, che è più giusto definire ristoranti gastronomici, si lavora moltissimo perché la ricerca è tanta, il mercato richiede sempre più preparazione e la cucina è sempre più complessa, anche per l’effetto di trasmissioni come Masterchef che hanno alzato le aspettative.

Si lavora 15 ore al giorno, ci sono pranzo e cena che durano molto con poco stacco fra di loro, i racconti e gli scandali sulle condizioni di lavoro si sprecano. Quello che stiamo cercando di fare ultimamente è di dare più giorni liberi: abbiamo tanto personale in modo da avere due giorni liberi sempre e in alcune settimane anche tre.

Tutto questo, quindi il prodotto e il costo del personale, si paga. E non poco
Il cliente paga un prezzo che è giusto per dare uno stipendio adeguato alle persone che lavoravano e per pagare la materia prima ad un prezzo decente. Il cibo viene pagato troppo poco dal mercato, è il tema principale anche della protesta dei trattori. I piccoli produttori non possono che fartelo pagare tanto e questo si riflette sui prezzi. Me nessuno si arricchisce con un ristorante gastronomico, anche se i prezzi sono molto alti. Ma c’è un costo alto e giusto della materia prima e un costo del lavoro. Non tutti possono permetterselo, ma questo riguarda anche il tema dei salari, che in Italia sono troppo bassi

 

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Prima citava Masterchef, come è andata l'esperienza in tv?
Mi hanno chiamato per parlare delle specie invasive e mi sono molto divertita. Conoscevo già Canavacciuolo perché avevo partecipato a due puntate di una sua trasmissione. Mi sono sembrati tutti carini e simpatici, credo che negli ultimi anni la trasmissioni sia cambiata e che loro si siano ammorbiditi. E poi mi piace la parte divulgativa e comunicativa del mio mestiere, è importante.

 

E lavorare fianco a fianco con il proprio compagno di vita, com’è?
Bello. Francesco ed io abbiamo dovuto imparare a farlo, ma abbiamo avuto più benefici che danni.
Bisogna fare un passo indietro con il proprio ego, gli chef tendono ad essere molto egocentrici.
La distribuzione delle responsabilità, se riesci ad andare d'accordo, è un grande affare. E ne vale la propria salute mentale.

 

Francesco Brutto e Chiara Pavan
Francesco Brutto e Chiara Pavan


Non state tutto il tempo a Mazzorbo...
Viaggiamo tanto per lavoro, solo nell’ultimo anno siamo stati, anche se spesso per una toccata e fuga, in Perù,, Malesia Thailandia, Kazakhistan, Romania, in Serbia, a Bruxelles per un progetto europeo sull'alimentazione e la formazione di cuoche e cuochi, oltre che a Dubai per Cop 28, la conferenza sul clima.

Dal mondo a Verona. Cosa arriva della tua città in cucina?
Io adoro Verona e mi piace tornarci, Caprini è il mio posto preferito dove mangiare. Quella veronese è una cucina molto classica, mi piacciono tanti prodotti, ad esempio il broccoletto di Custoza, un prodotto eccezionale, o il radicchio di Verona che è molto amaro. Ho tanti ricordi legati a Verona e ad aprile sarà per un evento al Maddalene in occasione Vinitaly. Almeno una volta all’anno cerco di partecipare a qualche serata.

E la madeleine, il cibo che ricorda l’infanzia a Verona?
Il risino, mangiato caldo al mattino. Quello non lo trovi da nessun'altra parte.

Riccardo Verzè

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