56 anni. Scorre il tempo ma la ferita non si rimargina, non può e non deve rimarginarsi. 1917 morti (14 almeno i veronesi), 1.300 dispersi, con quell'onda di 250 metri che superò la Diga del Vajont e travolse Longarone e le frazioni limitrofe, devastandole.
250 milioni di metri cubi di roccia che il 9 ottobre 1963 si staccarono dal monte Toc in piena notte, facendo innalzare il lago artificiale e rendendo inutile il mastodontico manufatto che lo divideva dalle valli sottostanti.
Un disastro causato dall'uomo, perché la superficialità e la ricerca di profitto fecero costruire una diga prima e innalzare i livello dell'acqua poi, dove la Natura non lo permetteva. Un disastro che in quest'epoca di lotta ai cambiamenti ambientali ricorda come i limiti del progresso umano non debbano superare le necessità e gli equilibri naturali.
«Il Vajont è un monito affinchè la politica sia buon governo, capacità di prevenire e intervenire creando condizioni di sicurezza e sia strumento essenziale per dare sempre garanzie di giustizia», ha detto il presidente della Regone Veneto Luca Zaia.
Ma è anche un esempio della solidarietà di un popolo: nei giorni successivi al disastro, migliaia e migliaia di volontari, non solo dalla provincia di Belluno, portarono il loro aiuto ai corpi militari e a quelli di soccorso nelle operazione di ricerca dei dispersi e successivamente in quelle di ricostruzione.
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