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Il 28 agosto si racconterà sul palco del Romano

Jasmine Trinca: «Il fascino è una luce nello sguardo»

Jasmine Trinca inaugura il Festival della Bellezza 2020
Jasmine Trinca inaugura il Festival della Bellezza 2020
Jasmine Trinca inaugura il Festival della Bellezza 2020
Jasmine Trinca inaugura il Festival della Bellezza 2020

Guardando gli occhi di Jasmine Trinca scorrono vent’anni di cinema italiano, da «La stanza del figlio» di Nanni Moretti a «La dea fortuna» di Ferzan Özpetek, passando per «La meglio gioventù», «Romanzo criminale», «Il caimano», «Un giorno devi andare» di Giorgio Diritti, «Miele» di Valeria Golino, il Boccaccio dei fratelli Taviani, la «Fortunata» di Castellitto e «Sulla mia pelle» di Alessio Cremonini, storia del caso Cucchi. Prendendo in prestito un titolo di Luca Carboni: «intanto Jasmine Trinca non sbaglia un film». All’attrice romana è affidato il compito di dare il via al Festival della Bellezza, al Teatro Romano, venerdì 28 agosto alle 21.30 (il programma). In apertura, la «sigla» della rassegna, con la ballerina Anna Beghelli e la musicista-cantante Eleuteria Arena.

 

Jasmine, lei ha raccolto una serie impressionante di premi. Cosa rappresentano? «Beh, c’è da dire che sono anche tanti anni che faccio cinema! Però ho la sensazione che nei miei confronti ci sia vero affetto e attenzione. I premi? Vogliono dire che il lavoro è arrivato, che quello che facciamo non è autoreferenziale ma una forma di comunicazione. E a me fanno sempre tanto piacere».

 

Uno dei suoi ruoli iconici è «Fortunata» di Castellitto: nell’edizione 2017 del Festival di Cannes, sezione «Un Certain Regard», è stata premiata per la migliore interpretazione. Ma la parrucchiera Fortunata cos’ha fatto durante il lockdown per il Covid? «Faceva i capelli a casa! Eccerto! A proposito di Fortunata. Quando non lavoro, tendo a stare per i fatti miei – lo so, sono selvatica. Una mia amica mi ha visto, avevo la chioma vaporosa e m’ha detto: Ah, mi ricordi Fortunata! Sì, è stato un grande personaggio».

 

Quanto tempo si dà per entrare in una parte? «Tutto quello che mi viene dato. La difficoltà è che ne concedono poco. Ma più che la preparazione, io vivo moltissimo il set, mi piace respirare quest’aria. Riesco a entrare in un personaggio mentre lo sto girando; non è il massimo, lo so, ma c’è qualcosa che si incarna mentre recito. Spesso gli abiti aiutano: un corpo si trasforma sotto un costume. Avere la giacca di pelle di «Miele» è diverso che camminare con gli zatteroni di Fortunata. Lo capisco subito. Conta il modo in cui non mi riconosco allo specchio. Anche se trovate tracce di me stessa nei miei personaggi».

 

In «Sulla mia pelle» lei è Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi, morto in carcere nel 2009: la causa della morte e le responsabilità le stanno ancora accertando in processi e inchieste che continuano a coinvolgere diversi carabinieri. È stata la prima volta in cui ha interpretato qualcuno di vivente? «Sì, con nome e cognome sì. Mi è capitato di interpretare personaggi ispirati a persone vere, ma con Ilaria Cucchi è stato diverso, una sensazione particolare».

 

Nel senso che è cambiata la sua visione del caso Cucchi? «In realtà no; avevo già incontrato Ilaria in altre situazioni. Per me questa storia è il paradigma di quello che avviene in carcere alle persone che non hanno una protezione, i disperati e i disgraziati, i ladroni crocefissi a fianco di Cristo. Il film di Cremonini ha cambiato il clima: non è più solo la storia di una sorella che lotta per sapere cosa è successo a suo fratello. Ha reso meno sola la famiglia Cucchi e ha ridato voce a Stefano; lo ha reso di carne e ha fatto vedere la sua sofferenza, grazie a una prova magistrale di Alessandro Borghi».

 

Nel programma del Festival della Bellezza lei parlerà del fascino degli attori… «Ah, in effetti mi sembra sempre qualcosa di inafferrabile. Ci sono uomini e donne belli che però sul grande schermo non rendono. Per me il fascino al cinema è una luce nello sguardo, qualcosa nell’animo che la macchina da presa cattura. Banale ma vero: facce e corpi strani possono diventare perfino belli. Il cinema è uno dei pochi mezzi che cattura una bellezza altra: non l’oggettivo ma il soggettivo. È lo sguardo di chi guarda che riesce a trasformare anche i più brutti in qualcosa di speciale. Dipende da una luce interna»

 

Ma c’è una attrice che le fa questo effetto al cinema? «Caterve di attrici! Tutta una generazione contemporanea. Sono veramente tante. Solo per fare tre nomi: Kate Winslet, Cate Blanchett e Rachel Weisz».

 

Cate Blanchett ha recitato per un grande artista come Woody Allen in «Blue Jasmine», un ruolo molto da Jasmine… «Eh, magari! Ma non giochiamo lo stesso campionato, lei ed io».

 

Ma si può essere acquistati da una squadra straniera e cambiare campionato. Come è successo a lei per “The gunmen”, diretto da Pierre Morel e girato tra Spagna, Gibilterra, Sudafrica e Inghilterra… «In realtà io lì sono stata presa a parametro zero… No, dai, scherzo! Per me è stato come un immenso giro al luna park. Il cinema si fa allo stesso modo ma gli americani lo fanno con una dimensione più grande della nostra. E poi ho lavorato con Sean Penn, Idris Elba, Javier Bardem, Ray Winstone e Mark Rylance. Uno meglio dell’altro!». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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