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L'impresa

A piedi per 330 chilometri senza (quasi) mai fermarsi: Michele racconta il suo «Tour dei Giganti»

Il «mitico» Tor des Geants, 330 chilometri sulle Alpi da fare entro 150 ore, raccontate da chi l'ha affrontato per la prima volta
Michele Zanella durante e dopo il Tor des Geants
Michele Zanella durante e dopo il Tor des Geants
Tor Des Geants, intervista Zanella

Per capirsi, trecentotrenta chilometri è più o meno la distanza che separa Verona da Courmayeur. Con la differenza che, in questo caso, da Courmayeur si parte e si arriva, con in mezzo 24.000 metri di dislivello positivo (cioè, in salita, aggiungetene altrettanti in discesa). Da fare al massimo in 150 ore, quindi meno di una settimana: significa circa 50 chilometri al giorno. Ovviamente a piedi: è il Tor des Geants, uno dei trail più duri e affascinanti al mondo. Esiste da 13 anni, ci sono le varianti da 450 (davvero estrema), 130 e 30 chilometri, ma la classica è quella da 330.

Quest'anno ai nastri di partenza c'erano 1.250 persone, è arrivata entro il tempo limite circa la metà. Il vincitore, Franco Collè, ci ha impiegato 66 ore, nuovo record. I veronesi che hanno partecipato quest'anno sono Elisa Paris (Tor 30), Cristian Agnoli e Francesco Maistri (Tor 450). Stefano Danzi, Stefano Galvani, Riccardo Desto, Monica Giacomello, Maurizio Alex Orsolini, Claudia Thoma e Michele Zanella (Tor 330). Più Placido Mondin, l'ultimo in assoluto ad arrivare entro il tempo limite, accolto come una star. Ci siamo fatti raccontare com'è un Tor des Giants da Michele Zanella, 49 anni, fisioterapista in passato alla Scaligera e oggi al Villafranca

 

La prima domanda che si fanno tutti è: perché?

Quando ho iniziato due anni fa a fare trail, non sapevo nemmeno che esistesse il Tor des Geants. Poi ho comincaito a sentirne parlare e ho parlato con qualche veronese che in passato l'ho fatto e mi sono entusiasmato. Ed è diventato un obiettivo quasi subito.

 

Come si ci si prepara?

Bisogna allenarsi, facendo qualche 100 chilometri, correre la notte e macinare tanta strada. Ma per allenare il fisico non ci sono problemi: la cosa dura è la testa, lo capisci là.

 

Alla partenza che sensazioni avevi?

Ho detto a Ricky, altro veronese: “Arrivo anche sui gomiti”. Ero bello carico, stavo bene, contento ed emozionato, il Tor des Giants è una cosa impressionante.

 

Ci sono state difficoltà?

Mi avevano detto in tanti che la più difficile sarebbe stata la quarta tappa, da Donnas a Gressoney, ma in realtà la parte più dura è stato il primo giorno e mezzo. C'era un caldo infernale, ma quando ha cominciato a rinfrescare per me è cambiato tutto

 

Hai pensato di non farcela?

No, ma è stata dura, farsi superare da tanta gente e pensare “quello là avrà 70 anni”. Ma poi non te ne frega più niente e l'obiettivo diventa solo arrivare

 

Lungo il tragitto ci sono dei punti vita, dove mangiare e riposarsi. Avevi programmato quando farlo?

No, a un certo punto è il corpo ti dice “mangia e fermati”. Sono stato orizzontale in tutto otto ore, di cui dormito quattro-cinque. Ho mangiato, fatto un paio di docce, un massaggio, sistemato i piedi. In tutto una ventina di ore fermo su 139, il mio tempo finale.

 

Equipaggiamento?

Hai uno zainetto da trail con due flask, nello zaino delle termiche di ricambio, magliette di ricambio, il poncio, i bastoncini, poi la cintura dove metti dentro il telefono, che è obbligatorio. Il cibo lo trovi alle basi vita, nel Tor 450 invece fai dei tratti lunghissimi in cui non c'è niente.

 

Avevi una sorta di “assistente” che ti aspettava in alcuni punti del percorso...

Sì, Marco, il mio testimone di nozze, una persona incredibile: l'ha vissuta wild, non ha voluto la stanza d'albergo, dormiva in macchina o attaccava l'amaca agli alberi, faceva il bagno nel fiume. “Se mi prenoti la camera d'albergo torno a casa”, mi ha detto

 

Il momento più bello?

Quando mi sono apparsi il monte Rosa e il Cervino, e poi il terzo giorno quando stavo bene e ho cominciato ad andare, a superare un sacco di gente, a fischiare e a cantare. E non so questa energia da dove sia venuta, dopo due notti in cui avevo dormito un'ora e mezza. Lì ho detto: “È fatta!”.

 

Problemi fisici?

Grossi dolori non he ho avuti, avevo un fastidietto al piede, era un dolore che mi serviva giusto a tenermi compagnia. Quasi un dolore “bello”. Ma c'era gente coi piedi devastati, quelli con vesciche troppo grandi li fermano.

 

Si è sempre soli?

L'ultima tappa c'era nebbia, si vedeva poco, al rifugio abbiamo fatto un gruppo da otto dieci persone fino alla balconata che dà sul Monte Bianco. Ci siamo uniti, fra spagnoli, messicani, giapponesi, italiani...

 

E il cibo?

Ho mangiato di tutto, dal panino alla polenta concia con la fontina e il ragù. Mai preso un integratore. Ogni paese dove passi c'è qualcuno che ti offre qualcosa, nel penultimo rifugio ci hanno preparato la pasta al forno coi formaggi.

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E all'arrivo?

Sono arrivato prima dell'alba, mia moglie è arrivata un minuto dopo e non abbiamo festeggiato in modo particolare. Poi ho dormito fino a mezzogiorno.

 

Ma ti eri reso conto di avercela fatta?

Mi sono reso conto quando mi sono svegliato il giorno dopo, lì ho pianto di gioia, non mi vergogno a dirlo.

 

A posto così adesso?

No, sono pronto a rifarlo l'anno prossimo! 

 

Riccardo Verzè

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