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Prremio Giorgio Totola

Esther e Rosalyn: il noir dell’io e il suo doppio

di Michela Pezzani
Il testo del thriller di Edoardo Erba ha aperto al Teatro Camploy la 17esima edizione del Premio Giorgio Totola dedicato a testi di autore italiano contemporaneo
Le attrici Patrizia Giacchetti e Monia Silvestri (foto Pezzani)
Le attrici Patrizia Giacchetti e Monia Silvestri (foto Pezzani)
Le attrici Patrizia Giacchetti e Monia Silvestri (foto Pezzani)
Le attrici Patrizia Giacchetti e Monia Silvestri (foto Pezzani)

Due donne in una. La protagonista di “Rosalyn” è Esther, una scrittrice americana di successo sotto interrogatorio, accusata di omicidio, pare commesso anni prima: un’ intellettue in crisi che probabilmente si è confidata con una certa Rosalyn, donna delle pulizie. Esther ora farebbe i conti con la propria coscienza, ma Rosalyn ricompare.

Ma chi è davvero costei? Si sta parlando di sogno o realtà? Non è forse che Rosalyn rappresenti in tutta questa allucinazione l’antagonistadella scrittrice e non l’amica? Oppure potrebbe essere il personaggio di un suo libro che si materializza e si ribella alla tram che la romanziera le ha imposto?

Sono tanti i quesiti che questo spettacolo stimola nello spettatore: ottima cosa. Il testo del thriller di Edoardo Erba ha aperto la 17esima edizione del Premio Giorgio Totola dedicato a testi di autore italiano contemporaneo e al Teatro Camploy è stato applaudito.

Le interpreti sono le brave attrici Patrizia Giacchetti e Monia Silvestri, della compagnia TeatroDrao&Teatrotre di Ancona: le ha dirette il regista Davide Giovagnetti, efficace nel colorare di pathos il ritratto in bianco e nero di due solitudini.

Abbiamo assistito con interesse ad un lavoro molto originale nell’idea, sviluppo e risoluzione recitativa, quest’ultima in sordina nelle prime battute che non si udivano bene ma che hanno ripreso il giusto volume, fino al colpo di scena finale in cui lo scoppio del colpo di pistola ha fatto saltare sulle poltrone… ma il cadavere non c’è stato.

Non è facile infatti uccidere la propria anima e quella voce di dentro che costringe l’essere umano a fare i conti con le proprie fragilità, repressioni e fantasmi.

La violenza sia fisica che mentale che sa picchiare senza lasciare lividi bensì provoca ferite invisibili è la sostanza di questa storia simbolica tramite la quale il drammaturgo Erba dá forma e voce alla inevitabile resa dei conti di chi tiene tutto dentro, finché poi, da qualche parte, la rabbia deve pur uscire.

È efficace l’immagine del baule dal quale all’inizio della messa in scena esce all’improvviso “l’altra” , Rosalyn, la quale munita di scopone si mette a pulire il pavimento come a cancellare il passato e la sporcizia di una vita tribolata vissuta e condivisa in bilico tra verità e menzogna, l’io e il suo doppio. Riposto poi l’attrezzo ecco quindi che le due figure in sintonia e conflitto, entrambe vestite di scuro, sono una di fronte all’altra, sia in monologhi che in dialogo fra loro, fino a scoprire man mano di esse matrioske, una dentro all’altra, ma allo stesso tempo l’una fuori dall’altra.

Una pièce forte ed enigmatica quella di Erba che ricalca gli stilemi di un poliziesco con tanto di discarica, l’ombra di loschi figuri, vittime e carnefici, corpi del reato, una penna stilografica dove non dovrebbe essere: un autoproceso che alla fin fine non concede soluzione definitiva al dolore. Un plot dai connotati tutti da decifrare come in un identikit, condito di surreale e in cui non importa sapere se Esther sia innocente o colpevole. Conta il percorso e non il punto di partenza o di arrivo.

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