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Si è spento Milo Navasa, maestro di arrampicata

LUTTO NELL'ALPINISMO. Aveva 84 anni ed era sfuggito ai campi di sterminio nazisti. I funerali domattina al cimitero
Accademico del Cai, direttore della scuola di roccia Priarolo, ha aperto vie su pareti di estrema difficoltà nelle Dolomiti di Brenta e in tutte le Alpi

 Navasa bivacca in parete verso la Rocchetta Alta di Bosconero, nel 1965. Di spalle, Claudio Dal Bosco
Navasa bivacca in parete verso la Rocchetta Alta di Bosconero, nel 1965. Di spalle, Claudio Dal Bosco

 Navasa bivacca in parete verso la Rocchetta Alta di Bosconero, nel 1965. Di spalle, Claudio Dal Bosco
Navasa bivacca in parete verso la Rocchetta Alta di Bosconero, nel 1965. Di spalle, Claudio Dal Bosco

La montagna nel cuore. Fino all'ultimo. Perché uno come lui, rocciatore di razza, apripista di vie in parete in tutte le Alpi, maestro di arrampicata per generazioni di veronesi, la montagna era sinomino di libertà. Si è spento, all'età di 84 anni, dopo una malattia, Milo Navasa, già direttore della scuola di arrampicata Gino Priarolo del Cai di Verona, Accademico del Cai e del francese Ghm. Originario di Venezia, ma stabilitosi fin da giovane a Verona, insegnante, Navasa è morto nella Residenza Policella di Castel d'Azzano, gestita dalla Pia Opera Ciccarelli. I funerali saranno domani, alle 10.30, al cimitero monumentale di Verona.
La scomparsa di Navasa lascia un vuoto nel mondo alpinistico italiano ed europeo. «Ho perso il mio maestro. Così lo consideravo alla palestra di roccia di Stallavena, io ragazzo e lui già adulto, direttore della scuola di arrampicata Priarolo. Così l'ho sempre considerato anche dopo, durante la nostra attività alpinistica insieme». Così ricorda Navasa Franco Baschera, 69 anni, il tipografo per decenni gestore del rifugio Fraccaroli — sotto cima Carega, oggi condotto dai suoi figli — e compagno di scalate di Navasa in particolare sul Brenta.
Con Baschera e Claudio Dal Bosco (scomparso), nel luglio del 1964 e cioè 45 anni fa Navasa «firma» la prima ascensione sul Pilastro Rosso della Cima Brenta alta, con un itinerario nuovo tracciato in quattro giorni e mezzo, su una parete di 300 metri. Il trio si rende protagonista di un'altra impresa l'anno successivo, dal 22 al 26 giugno 1965, quando disegna, ancora come apripista, un capolavoro dell'arrampicata sui 700 metri di roccia «dolomia principale» della partee nord della Rocchetta Alta di Bosconero, nella Dolomiti di Zoldo.
Con quattro corde da 40 metri, una da 70 e 300 chiodi, Navasa, Baschera e Dal Bosco colmano uno dei vuoti dell'arrampicata dell'epoca, una parte di sesto grado e sesto superiore, e poi l'A1, l'A2 e l'A3, secondo la classificazione alpinistica. È una salita di estrema difficoltà al punto che Reinhold Messner, il re degli Ottomila, la considera fra le 50 scalate più difficili delle Alpi.
Elegante nel gesto tecnico ma anche metodico, oltre che di grande resistenza fisica. Affrontava con successo le pareti anche durante temporali e bufere. Così viene ricordato Navasa nel libro Un secolo di alpinismo veronese 1875-1975 scritto per i 100 anni di vita del Cai di Verona da Bartolo Fracaroli. Fra le «prime» di Navasa il Gran Diedro nord del Crozzon di Brenta (700 metri di dolomia, 25 ore di scalata, dal 24 agosto 1959 per tre giorni), e poi la variante alla parete sud del Piz Serauta, in Marmolada, con il roveretano Armando Aste, e un nuovo tracciato sullo spallone sud del Campanil Basso, sempre sul Brenta, 500 metri mai sotto il sesto grado vinta con Marino Stenico.
Fino allo spallone della parete est del Sassolungo, 800 metri di arrampicata per tre giorni insieme a Dal Bosco, in condizioni climatiche proibitive, mai ripetuta. È la «via Cristina», intitolata alla piccola figlia del presidente del Cai Guido Chierego, morta schiacciata da un cancello elettrico in viale Nino Bixio, 37 anni fa.
Navasa, con il padre Augusto, viene fatto prigioniero politico dai nazisti il 13 dicembre 1944, portato in un campo di prigionia a Bolzano. Riesce a scampare il lager di sterminio, dove invece morirà il padre, e rientra a Verona a piedi. «Milo è un patrimonio di tutto l'alpinismo veronese», ricordano Pino Martignago e Marcello Zignoli, del Gasv, associando Navasa ad altri alpinisti scaligeri come Giancarlo Biasin, Marina Lena, Franco Chierego, Romano Taietta, Mario Battaglia, Sergio Faccioli, oltre a Baschera e a Dal Bosco. Intorno ai 50 anni Navasa molla la montagna e si dà all'attività subacquea.
Licia Navasa, 46 anni, figlia di Milo e di Isabella Bonizzato, ha due figli e vive a Londra. Ricorda il padre come «sempre lucido, fino all'ultimo, quando parlava della sua montagna. E ultimanente, lui ateo, si era avvicinato alla fede. Nonostante la malattia è resistito a lungo. Aveva un cuore fortissimo». Con dentro la montagna.

Enrico Giardini

Enrico Giardini

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