<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
LA PREMEDITAZIONE

«Le lettere scritte a maggio, poi si videro ancora»

I legali: «Contenevano il suo rammarico, non l'intento omicida»

Un giorno lungo per tutti. E il compito della difesa di Vittorio Ciccolini non era semplice. Terribile il fatto, terribili le modalità. L'acquisto del coltello il 7 agosto, poi le lettere, quelle spedite dopo l'omicidio ma scritte prima, in maggio. E soprattutto quegli scritti per il pm Colpani rappresentano la dimostrazione che l'omicidio non fu un frutto di una reazione alla vista dell'immagine di Lucia con un altro uomo.
Un convincimento che gli avvocati Umberto De Luca e Marco Stefenelli hanno cercato di smantellare ieri davanti al gup Ancona sostenendo che gli scritti erano stati tutti creati (i file erano nel computer sequestrato a Ciccolini) nell'ultima settimana di maggio ma che furono seguiti da altri incontri, da altri contatti.
«La premeditazione esige che la volontà di maggio fosse formata e definita», si legge nella memoria difensiva depositata ieri in udienza. Ma quelle lettere sono state trovate in auto, sia quelle scritte alla sorella e alla fidanzata con la quale Ciccolini era stato legato per molti anni sia quelle (stampate l'8 agosto) per il padre e per il marito di Lucia.
E per le difese tra maggio e il giorno dell'omicidio si erano sentiti e visti e quegli scritti avrebbero dovuto rappresentare (come l'imputato disse allo psichiatra) «una sorta di prova di rammarico e risentimento per il distacco di lei». Da qui la ricostruzione alternativa: si erano visti anche il 19 luglio e «se Ciccolini, come sostiene l'accusa, è psichicamente armato perchè non avrebbe agito in quell'occasione? Perchè quell'incontro, così come lo definì lei stessa in un messaggio, fu bellissimo». Da qui la conclusione che le volontà di maggio o quelle ancora precedenti non rispecchiano quelle del 10 agosto.
Tesi e letture alternative fornite anche sul comportamento tenuto successivamente, quando Lucia è adagiata senza vita sul sedile della macchina e portata a Verona. Poi sul libro che stava scrivendo in cui impersonava «Pato Alvedan, tennista argentino romantico ed estroverso, e Piero Ingoni, avvocato scrupoloso e moralista. Un «romanzo fortemente biografico», lo definì l'esperto incaricato dal gip di stabilire la capacità di Ciccolini al momento del fatto.
«Pato - il parziale Vittorio del romanzo - vuole uccidersi come il giovane Werther», prosegue la difesa, «ma la rappresentazione letteraria del suicidio non produce volontà suicida ma al massimo la sua messa in scena (con la pistola alla tempia)». Hanno citato anche la lettera scritta da Lucia a Ciccolini, trovata all'interno dell'appartamento a Madonna di Campiglio. Una missiva in cui veniva ribadito un sentimento profondo anche se lei di quel rapporto era stanca perchè le fasi si erano alternate, all'inizio lui era più distaccato, poi era andato alla ricerca di lei. Un conflitto che anche per il perito aveva creato «un disturbo della personalità», quella che il dottor Rocca nella perizia definisce «incapacità psicologica di accettare l'abbandono, il fallimento della relazione». Ma l'accusa ha retto su ogni punto.F.M.

Suggerimenti