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Il caro prezzi

Polli in «volo»: ai produttori pagati 30 cent al chilo, i consumatori lo comprano a 15 euro

Allevamento di polli
Allevamento di polli
Allevamento di polli
Allevamento di polli

La filiera avicola nazionale , che ha come fulcro produttivo la provincia di Verona, ha dinamiche produttive particolari. Quando si parla di produttori ci si riferisce al combinato della soccida, che sostiene la catena dell’allevamento dal pulcino, al macello. C’è la grande azienda, (Veronesi, Amadori, Fileni) che fornisce pulcini, mangime, veterinari e ritira il pollo o il tacchino quando la crescita è ultimata. E chi alleva nelle strutture i capi, occupandosi del riscaldamento o raffrescamento degli ambienti e dell’accudimento fino a completa “maturazione” dell’animale vivo.

Diego Zoccante è presidente degli allevatori avicoli di Confagricoltura Verona. In settimana ha sollevato la questione dei costi energetici che lui e i colleghi devono affrontare in questi mesi di caldo intenso, in cui gli allevamenti vanno continuamente raffrescati e a causa del quale sono arrivate bollette astronomiche: nei capannoni del Padovano c’è chi deve pagare fino a 39mila euro. Zoccante ha chiesto alla Gdo una più equa distribuzione del valore. «A noi», afferma l’allevatore di tacchini, «sono riconosciuti 25-30 centesimi al chilo per animale vivo venduto. Poi, se compri un petto al banco frigo, lo paghi 15 euro al chilo. Quindi alla grande distribuzione diciamo: dateci 10 cent in più, ci basterebbero per avere un minimo guadagno». Ma com’è possibile che il prezzo lieviti fino a questo punto? Zoccante ripercorre ogni passaggio dall’uscita dell’animale vivo dall’allevamento fino alla vendita al supermercato.

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Primo passaggio, quotazione della materia prima. «Alla Borsa Merci il tacchino vivo vale ora circa 2,10 euro al chilo: il differenziale rispetto ai 25-30 cent che ci sono saldati, va all’azienda soccidante. L’animale può essere venduto vivo, a un’altra azienda ma più spesso l’acquisto riguarda l’animale macellato», ricostruisce. Il prezzo del capo, macellato ma ancora da sezionare, sale fino a 4,5 euro al chilo. A richiederlo sono le gastronomie (nel caso dei polli nella maggior parte dei casi la destinazione è lo spiedo) o le macellerie di vicinato che provvedono a commercializzare il capo intero, a tagliarlo a pezzi o a lavorarlo. «Infine, c’è la fase del taglio e confezionamento, per la maggior parte del prodotto che va alla distribuzione organizzata. Tutta la trasformazione in genere è gestita dalla stessa impresa che collabora con l’allevatore per la crescita dei capi e che propone il prodotto in vaschetta alla Gdo, seguendo le indicazioni che quest’ultima fornisce». Il cliente finale trova la parte nobile del prodotto (il petto che costituisce il 50% del totale vendibile, ndr) a 12-15 euro al chilo al supermercato; mentre la coscia vale 6-7 euro al chilo. 
«Per far sopravvivere la filiera qualcuno deve cedere qualcosa. Noi non riusciamo più a lavorare con questi costi energetici. Inoltre, patiamo la concorrenza degli allevatori dei Paesi dell’Est, soprattutto Polonia, soggetta a una mole di prescrizioni sul benessere animale di gran lunga inferiore a noi e che riesce a vendere la carne avicola a prezzi inferiori», prosegue, evidenziando come esista un serio problema di sopravvivenza del made in Italy alimentare, minacciato su più fronti. «Il nostro prodotto è sano e fresco, dall’allevamento arriva al banco frigo in 24-36 ore. Speriamo che il consumatore continui a valutare questo plus anche in un momento in cui il carrello della spesa diventa sempre più esoso», conclude.

Valeria Zanetti

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