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sguardi sul futuro

Carlo Rovelli: «Religione e scienza sono forze potenti. Nella loro versione migliore possono aiutarci a costruire la pace»

di Bonifacio Pignatti
Scienziato, saggista e divulgatore scientifico veronese

Carlo Rovelli è lo scienziato che spiega il futuro rendendo avvicinabile a tutti il mondo complesso della fisica quantistica. Ed è l’uomo che guarda all’umanità che ci aspetta, in questo panorama di guerre, crisi globali e climatiche, di fronte agli interrogativi che la tecnologia mette in campo ingaggiando le vite di tutti noi.

E lo fa nutrito da un patrimonio di esperienze che lo hanno formato fin dai tempi della scuola al Maffei e dell’università: attivista nei movimenti studenteschi, pacifista, antimilitarista, sempre in campo contro le disuguaglianze. Senza paura di assumere posizioni controcorrente, con la lucidità e la nettezza che hanno dato linfa e slancio anche al suo lavoro di saggista autore di bestseller, alla ribalta internazionale da “Sette brevi lezioni di fisica“ in poi.

Professor Rovelli, il vescovo di Verona il 1° gennaio ha consegnato al sindaco il messaggio di pace del Papa, che sarà in città il 18 maggio e parteciperà all’evento in Arena. La riflessione di Francesco è incentrata su “intelligenza artificiale e pace“, un binomio su cui il mondo si prepara ad affrontare sfide decisive per il futuro. L'approfondimento del Papa è sul progresso di scienza e tecnologia come via verso la pace. Lei come crede si possano coniugare questi due termini?

La realtà è complessa. Religione e Scienza, nella loro versione peggiore, sono state ripetutamente usate, e sono usate ancora oggi, per incitare alla guerra e per vincere guerre. Hanno fornito armi letali: ideologiche e tecnologiche. Ma nella loro versione migliore possono essere forze potenti per aiutarci a costruire la pace che tutti chiedono a gran voce. Nel corso della mia vita non mi sono mai sentito così vicino al mio Papa e al mio Vescovo, per la comunanza di valori che oggi sento. Sono fra le poche voci che si levano contro il bellicismo che dilaga nella maggior parte della politica e dei mezzi di comunicazione europei.

Dal conflitto Israele-Hamas a quello russo-ucraino, una prospettiva di pace appare sempre più lontana. Come se la pace fosse una resa e non una conquista.

Ha ragione. Tanti presentano un cessate un fuoco, uno stop alle ostilità, come fosse una resa. Parlano di pace, ma prima vogliono vincere la guerra. Vincere la guerra non vuol dire pace: vuol dire ancora più guerra. Chi sostiene che per avere pace è necessario prima distruggere o punire i nemici è un sepolcro imbiancato: usa la parola “pace“ per coprire giochi di potere, interessi dei fabbricanti e venditori di armi, potentissimi anche in Italia. Le parole del Papa il giorno di Natale sono state inequivocabili: «La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre». È una denuncia chiara. Parliamone, scriviamone.

Avevamo lasciato il 2022 con una guerra e la speranza che finisse, un anno dopo di guerra ce n'è un'altra, con un potenziale inquietante di allargamento. E la Cina torna lanciare segnali all’Occidente su Taiwan. Sembra un mondo votato alla (auto)distruzione, senza un disegno sui cui ragionare di soluzioni politiche.

Siamo già in clima da guerra mondiale, temo. Per trovare soluzioni politiche bisogna saper vedere il punto di vista degli altri. I segnali della Cina all'Occidente su Taiwan chiedono che tutti rispettino gli accordi presi e sottoscritti nei decenni passati. Da mezzo secolo l'Occidente e le Nazioni Unite hanno sempre riconosciuto ufficialmente due parti della Cina come un unico Paese. La Cina chiede che l'Occidente non forzi la mano e scateni un conflitto. Immaginate se la Cina ricoprisse la Catalogna di armi da guerra avanzate e la spingesse a dichiarare l'indipendenza dalla Spagna. Questa è la prospettiva cinese su quanto stanno facendo gli Stati Uniti a Taiwan.

Intelligenza artificiale: un'opportunità, il futuro che si avvicina. Ma anche il rischio di sacrificare, in nome di efficienza e produttività, la complessità dell'intelligenza umana?

Non lo credo. Va regolata, come tutto, per evitare incidenti. Sono regolate anche le lavatrici. Ma non mi sembra più pericolosa delle macchine da scrivere o del telefono. Non esiste l’intelligenza artificiale incontrollabile che spaventa la gente.

Stiamo parlando di fase tecnologica avanzata sul fronte del progresso, insomma un'idea di sviluppo. Ma questo non le sembra in contrasto con un contesto in cui invece prevalgono pessimismo e disillusione? La generazione dei “boomer“ che credeva in un mondo migliore, ora non lo si legge più nemmeno negli slogan...

Conosco tantissimi giovani che credono nella possibilità di costruire un mondo migliore e sono impegnati per questo. Sono impegnati sull'ambiente, sull'eguaglianza fra i generi, e su molte altre cause nobili. In generale, quando si manifestano troppo i media benpensanti li bastonano, ma è sempre stato così: ci sono sempre privilegi e interessi che si oppongono ai sogni di un mondo migliore per tutti.

Quanto pesa in questo il ruolo dei social e la vita declinata nel mondo virtuale, soprattutto per i giovani e dopo il Covid che li ha privati del sociale e portati sui social? Piazza virtuale per tutti o luogo del grande inganno, della finta uguaglianza?

Non credo che i social siano da vedere così negativamente: hanno aperto le porte del mondo e della conoscenza a tantissimi ragazzi e ragazze. I giovani sanno molto di più di quanto sapeva la mia generazione alla loro età, hanno più intelligenza e cultura. Come tutti gli strumenti nuovi comportano anche problemi, ma così è stato anche per la stampa o le automobili.

Lei, Rovelli, è uno scienziato. Cosa ci si aspetta dalla scienza, nei mesi (o anni) a venire che possa incidere sul mondo? In un periodo tornato di guerra permanente, è più facile ricordare Oppenheimer, l'atomica e il film che ne ricostruisce la storia...

Oppenheimer prima ha guidato il Progetto Manhattan, che ha costruito le prime arme atomiche con la scusa che altrimenti le costruivano i tedeschi, poi lui e molti colleghi hanno cercato di convincere i politici che le armi atomiche potessero essere la grande occasione per fare la cosa saggia: costruire una collaborazione internazionale capace di evitare le guerre. Quello che vorrei dagli scienziati è che perseguano il secondo di questi obiettivi, non il primo. Non si prestino al gioco al massacro che è in corso, non lavorino per fare armi, ma usino la loro debole voce per provare a spingere l'umanità verso la ragionevolezza.

La scienza ha dunque una missione, in tempi così turbolenti e di inquietudine?

La scienza dal Rinascimento in poi ci ha sempre dato un’umanità che vive meglio. E continuerà a offrirci strumenti per andare in questa direzione, ammesso che riusciremo a uscire indenni dagli effetti dei cambiamenti climatici.

In un mondo di crisi, una delle emergenze è infatti l'ambiente, e la questione del riscaldamento globale. Come giudica l'esito della Cop 28 di Dubai? Un vero passo avanti o un compromesso per non dispiacere a nessuno?

Insufficiente, lo sappiamo tutti. L'anno appena trascorso è stato il più caldo da quando abbiamo dati registrati. Si sta cercando di capire se sia una fluttuazione anomala, oppure le cose siano ancora peggio di come ci aspettassimo.

È l’inizio dell’anno. Come immagina Rovelli - e cosa auspica - il 31 dicembre 2024?

Ho imparato a non sognare troppo. Auspico solo che il mio Paese, l'Italia, si adoperi sul serio per un cessate il fuoco a Gaza e nel Donbass, anche se gli Stati Uniti e l'Inghilterra non lo vogliono. L'Italia potrebbe avere un peso, salvare la vita di decine di migliaia di giovani.

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