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la tragedia di castel d'ario

Quattordicenne ucciso dal cedimento della panchina: «Era pericolosa, ma non c’erano divieti»

Parlano i consulenti di difesa e accusa nel processo sulla morte del 14enne di Castel d’Ario, che frequentava il Centro servizi formativi degli Stimmatini a Ponte Crencano. Rimpallo di responsabilità tra i cinque imputati per omicidio colposo
Il luogo della tragedia
Il luogo della tragedia
Il luogo della tragedia
Il luogo della tragedia

La panchina era stata considerata «un’opera non rilevante per l’incolumità pubblica». Lo dice a chiare lettere l’ingegnere sismico consulente della difesa di uno dei cinque imputati per la morte di Matteo Pedrazzoli, 14 anni, schiacciato sotto il crollo del manufatto del parco di Castel d’Ario.

Nato come oggetto d’arredo commissionato dal Comune, si era trasformato nel corso del progetto in una panchina girevole, e poi, una volta installata, in una giostra utilizzata dai ragazzini. Si gioca su questi passaggi tutto il processo che vede alla sbarra per omicidio colposo Marzio Furini, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Castel d’Ario; Luca Bronzini, titolare della ditta che si era aggiudicata i lavori; i fratelli Cristian e Loris Manfredi, carpentieri e Elena Bellini, l’architetto progettista.

Quella panchina, manufatto era potenzialmente pericolosa per la massa e il peso, di 1.240 chili appoggiati su un palo. Lo dice Luigi Cipriani, uno dei consulenti del Pm, sottoposto al fuoco di fila dei difensori, affermando che il progettista avrebbe dovuto prevedere “la fatica” a cui veniva sottoposta, i movimenti che hanno provocato la crepa responsabile del cedimento improvviso di quella sera maledetta. «Movimenti prevedibili» assicura. Che nessuno sembra aver previsto.

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I calcoli

I calcoli commissionati dall’architetto Bellini ad un ingegnere strutturista, peraltro mai allegati alle carte, consideravano lo standard del peso di 5 persone “statiche”, mentre, in mancanza di previsioni credibili sui movimenti a cui avrebbe potuto essere sottoposta, l’ingegnere, cassato a sorpresa dalla lista dei testi dagli stessi difensori che lo avevano convocato - «avrebbe dovuto creare un sistema ridondante per garantire il massimo della sicurezza». Il costruttore, da parte sua, si è attenuto rigorosamente al progetto dell’architetto Bellini, che, secondo la difesa «non si poteva porre il problema di quanti bimbi sarebbero saliti».

«Ma era compito del Comune verificare la sicurezza» ribatte uno dei difensori, l’ex Pm bolognese Francesco Soprani. Un copione che in questo processo si ripete di continuo: il rimpallo delle responsabilità da un imputato all’altro, volgarmente detto “scaricabarile”.

Non era nata come panchina

La sostanza è una: quella panchina, che non era nata come tale, era pericolosa, e nessuno sembra se ne sia accorto. Lo chiarisce Alessio Maritati, il consulente della parte civile, l’avvocato Maria Grazia Galeotti, che tutela tutta la famiglia di Matteo. «Quel parco era aperto al pubblico, distante 50 metri dall’area giochi per i bambini. L’utilizzo come giostra non era occasionale, e non c’era alcun segnale di divieto. Era sottoposta a movimenti sia rotatori da giostra che basculanti. Questo non era stato previsto».

I consulenti che hanno partecipato alle verifiche dopo la tragedia hanno confermato che le prove eseguite sull’altra panchina hanno mostrato che con quel tipo di movimenti il rischio di crollo era concreto. La giudice Raffaella Bizzarro ha fissato la prossima udienza al 31 gennaio per ascoltare un altro consulente.

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