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«Don Piergiorgio, sono il tuo Papa...»

A sinistra, don Piergiorgio Rizzini parroco di San Giorgio in Braida, che aveva scritto una lettera al Pontefice; a destra papa Francesco, che gli ha telefonato per una conversazione durata quasi dieci minuti su temi legati alla liturgia, all’integralismo, a don Milani e a don Primo Mazzolari
A sinistra, don Piergiorgio Rizzini parroco di San Giorgio in Braida, che aveva scritto una lettera al Pontefice; a destra papa Francesco, che gli ha telefonato per una conversazione durata quasi dieci minuti su temi legati alla liturgia, all’integralismo, a don Milani e a don Primo Mazzolari
A sinistra, don Piergiorgio Rizzini parroco di San Giorgio in Braida, che aveva scritto una lettera al Pontefice; a destra papa Francesco, che gli ha telefonato per una conversazione durata quasi dieci minuti su temi legati alla liturgia, all’integralismo, a don Milani e a don Primo Mazzolari
A sinistra, don Piergiorgio Rizzini parroco di San Giorgio in Braida, che aveva scritto una lettera al Pontefice; a destra papa Francesco, che gli ha telefonato per una conversazione durata quasi dieci minuti su temi legati alla liturgia, all’integralismo, a don Milani e a don Primo Mazzolari

 

Canonica di San Giorgio in Braida, la chiesa di Borgo Trento, a due passi dall’Adige. Alle 17 squilla il telefono e il parroco don Piergiorgio Rizzini va a rispondere. «Pronto», dice il prete. E dall’altra parte: «Parlo con don Piergiorgio Rizzini di Verona?».

«Sì sono io, ma scusi lei chi è?». Risposta: «Sono Francesco, il tuo Papa». Attimi di silenzio, quasi di smarrimento in don Rizzini, 75 anni, da 14 alla guida della storica parrocchia urbana. «Scusi...Ha detto papa Francesco, proprio lei?». Ancora: «Sì don Piergiorgio, sono io, ho ricevuto la tua lettera e volevo ringraziarti per quello che hai scritto e salutarti».

Papa Bergoglio non è la prima volta che telefona di persona. Ma finché capita ad altri è una cosa. Quando però il «vescovo di Roma», come sin da subito ha voluto essere identificato, chiama proprio te, beh, allora cambia. Si fa fatica a trovare le parole, a vincere l’emozione. Con Francesco però, con il Papa venuto dalla fine del mondo, non è andata così. Don Piergiorgio, dopo aver celebrato messa, racconta perché gli ha inviato una lettera.

«Ho molto apprezzato il fatto che papa Francesco il 20 giugno sia andato a Bozzolo, nel Mantovano, sulla tomba di don Primo Mazzolari, e nello stesso giorno a Barbiana, nel Fiorentino, su quella di don Lorenzo Milani. Due preti ed educatori che da sempre sono stati un faro nella mia vita di uomo, di sacerdote e di insegnante», racconta don Rizzini.

«Tra l’altro anch’io», prosegue il parroco di San Giorgio in Braida, teologo, «sono appena stato ancora una volta in entrambi quei luoghi, anche per rimarcare la visita del Santo Padre. Sono convinto, infatti, che don Mazzolari e don Milani abbiano speso la propria vita per valori e ideali in cui mi sono sempre riconosciuto. Per questo ho apprezzato il loro modo di essere preti e anche il loro messaggio. E sono convinto che siano tutt’ora di grande attualità e profezia. Come ha del resto sottolineato il papa».

Don Primo Mazzolari - lo ricordiamo - cremonese, scomparso nel 1959 a 69 anni, prete, scrittore, giornalista, partigiano, lasciò un solco profondo nel cattolicesimo italiano della prima metà del Novecento. Voce forte e schietta, aperto al dialogo tra credenti e non credenti, vicino ai poveri, anticipò tanti temi del Concilio Vaticano II. A lungo i suoi scritti vennero censurati. Gli diede pubblica riabilitazione, poco prima che morisse, papa Giovanni XXIII, definendolo «la tromba dello Spirito Santo nella Bassa padana».

Don Lorenzo Milani, fiorentino, morto 50 anni fa all’età di 44 anni, intellettuale poliedrico, fondò nel Fiorentino le scuole popolari per adulti e poi a Barbiana, nel Mugello - dove fu di fatto esiliato, anch’egli per le sue idee giudicate troppo scomode - aprì una scuola per i bambini della contrada in mezzo alla foresta, abitata da pastori e contadini. Convinto che sapere «la parola» ed essere istruiti fossero l’unico modo per emancipare i poveri e farli competere ad armi pari, nella vita e nel lavoro, con chi ha più mezzi. Il suo famoso libro Lettera a una professoressa sintetizza il suo credo e la sua prassi educativa.

In vita i due preti erano in contatto. Il loro segno, i loro scritti, sono rimasti vivi. Nel cuore di tanti. I due però dividono ancora la Chiesa, la cultura, la politica.

«Nella mia lettera a papa Francesco sottolineavo proprio il valore e l’esempio di apertura e di modernità di don Primo e di don Lorenzo, contrapponendoli a una certa deriva tradizionalista che vedo, purtroppo, avanzare nella Chiesa cattolica, in particolare per quanto riguarda la liturgia», aggiunge don Piergiorgio. «Ecco perché ho pensato di inviare uno scritto al Papa. Volevo manifestargli in maniera esplicita le mie idee personali e dirgli quanto apprezzo il suo stile, il suo esempio e quanto sta facendo per la Chiesa e non solo».

Ma il Papa che cosa le ha detto? Don Piergiorgio non nasconde un certo imbarazzo, fatto di umiltà, e ammette: «Il Santo Padre, oltre a ringraziarmi e a sottolineare ancora il valore di don Primo e di don Lorenzo, mi ha detto di essere d’accordo e, anzi, mi ha confermato che esiste in una parte del clero questo rischio di un atteggiamento retrogrado, rigido, che guarda indietro invece che avanti. Ma c’è di più». Che cosa? La telefonata, spiega don Rizzini, è durata sei-sette minuti, e c’è stata l’occasione per andare anche un po’ a fondo degli argomenti. «Il Santo Padre mi ha rivelato che intende affrontare personalmente questo tema e preparerà un intervento scritto. Parlerà a un prossimo congresso per liturgisti, per dare linee chiare. Abbiamo anche scherzato un po’. Il Papa ha senso dell’umorismo. Non dimenticherò mai questa telefonata». Già. Qui don Piergiorgio, là papa Francesco.

Enrico Giardini

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