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’Ndrangheta, il silenzio delle vittime

Il giudice dell’udienza preliminare di Venezia, Luca MariniL’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros, coordinati dalla Direzione investigativa antimafia
Il giudice dell’udienza preliminare di Venezia, Luca MariniL’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros, coordinati dalla Direzione investigativa antimafia
Il giudice dell’udienza preliminare di Venezia, Luca MariniL’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros, coordinati dalla Direzione investigativa antimafia
Il giudice dell’udienza preliminare di Venezia, Luca MariniL’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros, coordinati dalla Direzione investigativa antimafia

Il primo botto: «Dalla disamina delle estorsioni, si rivela come le persone offese siano spesso imprenditori che si sono intenzionalmente e consapevolmente rivolti a soggetti dal chiaro profilo criminale». Il secondo: si univano ai ’ndranghetisti perché «volevano ottenere benefici e altre utilità». Il terzo: la convivenza si estendeva ad alcuni imprenditori che partecipavano ai delitti contro altri colleghi «per ottenere protezione a fronte di intimidazione da parte di altri criminali». Ecco qui le linee pilastro della motivazione della sentenza lunga 191 pagine a carico di venticinque imputati, accusati a seconda della posizione di aver aperto varchi alle attività ’ndranghetiste nella nostra provincia così com’è emerso nell’inchiesta Taurus. Le ha scritte il giudice dell’udienza preliminare di Venezia, Luca Marini (in servizio anche a Verona) che ha condannato il 5 luglio scorso ventiquattro su venticinque imputati con pene tra un anno e 2 mesi fino a otto anni. La sentenza del gup Marini non fa altro che confermare (se ce ne fosse ancora bisogno) la presenza di un’organizzazione ’ndranghetista nella nostra provincia, composta dai ceppi famigliari dei Gerace, Albanese, Napoli e Versace. Tra i venticinque imputati, giudicati in fase preliminare con il rito abbreviato, solo Agostino Napoli, 53 anni, e Santo Tirotta (pur come collaboratore esterno) sono considerati partecipi all’associazione a delinquere di stampo mafioso finita nel mirino dei carabinieri dei Ros e dei pm antimafia della Dda, Patrizia Ciccarese e Andrea Petroni. A Napoli e Tirotta due sono state inflitte le condanne più pesanti dal gup Marini: a Napoli, residente a Nogarole Rocca ma ora in carcere a Santa Maria Capua a Vetere, la pena di 8 anni. È stato assolto, però, dall’accusa di aver fatto parte di tre associazioni a delinquere finalizzate allo spaccio così come Tirotta, detenuto a Terni e condannato a 6 anni. Già, ma da cosa si ricava la presenza mafiosa in riva all’Adige? È lo stesso giudice Marini che evidenzia il legame «tra i soggetti intranei ad un’unica matrice criminale ‘ndranghetista che può considerarsi sintomatica della presenza mafiosa della provincia di Verona». Le famiglie hanno una lunga storia di ’ndrangheta iniziata negli anni ’80. In quel periodo, sono stati i nuclei degli attuali imputati Gerace, Versace, Napoli e Albanese ad arrivare nella nostra provincia tra Sommacampagna e Bardolino. E lì che l’infiltrazione si è trasformata in radicamento della criminalità organizzata nel Veronese. Sono le intercettazioni e le condotte degli imputati che fanno emergere «la prepotenza propria degli affiliati alla ’ndrangheta (...) facendo leva sulla forza d’intimidazione e di soggezione promanante dall’appartenenza di questa organizzazione», scrive il giudice. Sono metodi illeciti introdotti nelle attività economica della nostra provincia. Da quarant’anni. Schiaccia ancora di più sull’acceleratore, il gup Marini quando afferma che «in tutti i casi riportati dall’accusa, non si è registrata una spontanea collaborazione degli imprenditori con le forze dell’ordine». In realtà qualche vittima delle estorsioni ha parlato con gli investigatori «ma l’ha fatto quando ha raggiunto la consapevolezza di non avere altra via d’uscita», sostiene il giudice. Una visione certo non incoraggiante per chi veste una divisa e non solo se si pensa che c’è «chi si rivolge alle organizzazioni criminali anche per ottenere un servizio di recupero crediti». E i metodi si possono rivelare molto efficaci perchè la criminalità organizzata «ha un immagine pubblica particolarmente temuta». In una di queste vicende estorsive, il gup Marini ha ripreso le affermazioni del gip Francesca Zancan, riportate nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Taurus per 26 persone risalente al 3 luglio 2020: «Anche tra i cittadini era invalsa la possibile opzione per la tutela dei propri interessi di rivolgersi alla criminalità organizzata in luogo dello Stato». Il motivo appare scontato: si otteneva «ragione con indubbio risparmio dei tempi e con immediata efficacia realizzativa». •.

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