<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Nozze di pietra

Marina e Carlo, un «sì» che dura da 65 anni: «La ricetta? Parlare tanto e niente musi lunghi»

di Lorenza Costantino
Marina Franchetto e Carlo Ceretta oggi e nel 1975
Marina Franchetto e Carlo Ceretta oggi e nel 1975
Marina Franchetto e Carlo Ceretta oggi e nel 1975
Marina Franchetto e Carlo Ceretta oggi e nel 1975

Al centro del tavolo, nella cucina affacciata sui campi della Valpolicella, ci sono una pianta in vaso e una piccola teca trasparente. Dentro la teca, è custodita una bella rosa del deserto: un cristallo di gesso cui la natura ha dato l’insolita forma a corolla. Un fiore che non appassisce, figlio del Sahara. «È il regalo di una cara amica per le nostre Nozze di pietra», spiegano Marina Franchetto, 85 anni, e Carlo Ceretta, 91, di Pedemonte. Ciò che ad occhi altrui appare un’enormità, per loro è una cosa normale. Anzi, non potrebbe essere diversa: 65 anni di matrimonio.

Tanti ne sono passati da quel 14 novembre 1956, quando un cugino di Marina, missionario stimmatino, rientrato a Verona per una breve vacanza, propose ai due giovanissimi morosi: «Beh, che ne dite? Prima di tornare in Brasile, vi sposo». Ridono, al ricordo: «Non avevo il classico vestito bianco, ma un abito normale, con sopra il cappotto perché faceva molto freddo. E pioveva, pioveva... Quanta acqua abbiamo preso quel giorno», rievoca lei con un sorriso dolce, da ragazza. E lui, pronto: «Infatti. Sposa bagnata, sposa fortunata». Le foto del matrimonio? «Neanche una», rispondono, «all’epoca non si usava fare l’album». Oggi Marina e Carlo, ancora in gambissima, sono i patriarchi di una famiglia formato maxi: quattro figli - Floriana, Vanna, Mauro e Simone - 13 nipoti e 9 pronipoti: il più grande ha 12 anni, il più piccolo è ancora in «viaggio».

Alla televisione della cucina, intanto, passano immagini di vip: protagonisti dei gossip estivi per separazioni eclatanti (vedi Ilary - Totti) o per matrimoni bizzarri, come quello fra la regina mondiale del pop, la cantante Jennifer Lopez, e l’attore hollywoodiano Ben Affleck, tra contratti per regolare l’intimità di coppia e la decisione di vivere in case separate. Carlo e Marina non conoscono i personaggi, ma cosa pensano di queste «relazioni moderne»? «Trovo», risponde lui, «che siano venuti meno principi fondamentali. Io non voglio giudicare quelle persone; sono scelte personali. Però mi domando il senso. Vivere separati?», analizza, «Ma il rapporto di coppia, e poi anche quello con i figli, è fatto di condivisione, dedizione, dialogo... Cose che vanno coltivate ogni giorno. E come si fa, se non si vive insieme?». Aggiunge: «Noi in famiglia ci siamo sempre parlati tanto. Tanto, tanto. Se il dialogo familiare funziona, non resta niente da andar a raccontare a uno psicologo».

Spesso si dice che l’ingrediente irrinunciabile delle unioni longeve è la pazienza. «Più che altro, bisogna imparare a vivere alla giornata», si inserisce lei. «Un problema alla volta. E avere un attaccamento viscerale alla famiglia. Per tutta la vita ho fatto la moglie e la mamma, ma non mi sono mai sentita sminuita o trascurata, perché sapevo che Carlo e io, ciascuno a modo suo, stavamo facendo il massimo l’un per l’altro e per la famiglia». Ma capiteranno pur le discussioni, i litigi. «Ovvio», conferma Carlo, «però, la maggior parte delle volte, non aspettiamo la sera per chiarirci. Inutile tenere musi lunghi. Certo», ride, ripensando a J.Lo e consorte, «se abitassimo separati sarebbe più difficile». Chissà, forse avranno aiutato le poesie dolcissime che Carlo, un’ottima penna, ha composto per Marina nei vari anniversari: «Mi era piaciuta subito», confida lui, tornando al loro incontro, «una bella ragazza, e intelligente, senza grilli per la testa». Il massimo, comunque, l’hanno dato per davvero. Quando, in quel lontano 1956, il cugino-missionario li unì per la vita, non possedevano niente. Nella casa dei genitori di lei, a Santo Stefano di Zimella, in campagna, il vecchio nonno cedette la sua camera da letto ai novelli sposi.

Carlo spiega: «Io provenivo da una famiglia molto povera, avevo nove fratelli. La miseria economica - non quella morale - aveva caratterizzato la mia infanzia e giovinezza. Mi salvò l’Istituto religioso Scalabrini, a Bassano del Grappa, dove i miei mi avevano mandato perché fossi istruito e... nutrito». «Ero solo un ragazzino allora», continua, «ma non mi era pesato stare in collegio: quando, in mensa, mi veniva servito primo e secondo, non potevo credere a tanto ben di Dio. Sapendomi di origine disagiata, mi venivano forniti anche i vestiti e le scarpe. Dopo il sacrificio, avevo imparato la riconoscenza. Ma la cosa più preziosa che quei padri mi avevano donato era la cultura. Uscii dall’istituto con una formazione liceale che mi tornò utilissima». Sposato da poco, e neo papà della prima bimba, Carlo sbarcava il lunario con lezioni private di greco e latino. Finché incappò nell’occasione giusta: «L’Istituto Aleardo Aleardi, che all’epoca si trovava in un palazzo in centro, zona Valverde, aveva libero l’intero pianoterra. Si proponeva di aprire una delle prime scuole di guida di Verona. Mi conoscevano e mi chiesero: perché non ci pensi tu?».

Poco dopo, Carlo si mise in proprio con un socio. Era il 1958. Aprì la sua autoscuola, la «Porta Palio», al civico 38 dell’omonimo corso, a Verona, dove si trova tuttora. Le lezioni si tenevano al volante di Fiat Balilla, Autobianchi Giardiniera e Fiat 1100 con il cambio sul volante: «Oggi i ragazzi imparano a guidare su macchine col cambio automatico...». Poi vennero inaugurate tre succursali. Nel 1975, la famiglia Ceretta si impiantò in Valpolicella, dove comprò casa e terreno: «Ci piaceva il posto, la gente, e il vino». E qui Carlo si «inventò» anche vignaiolo. Oggi, che tutto ciò che hanno costruito insieme è in mano a figli e nipoti, Marina e Carlo vivono in serenità e semplicità, coltivando l’orto. Ma lui non dimentica chi lo ha cresciuto. Tuttora spedisce sostegni alle missioni cattoliche che, in giro per il mondo, aiutano i bambini a emanciparsi dalla miseria. Non c’è che dire, ne hanno fatta di strada gl sposini. E pensare che, prima di conoscere «la Marina», amica del cuore di sua sorella Redenta, Carlo aveva «rischiato» di andar prete missionario. «Era lo sbocco naturale per chi, come me, aveva studiato in un istituto religioso. Mi confrontai con il mio confessore. Parlammo dei voti: povertà, obbedienza e castità. Gli dissi che i primi due io li praticavo dalla nascita, e non mi pesavano, ma che non mi sentivo adatto al terzo. Lui mi rispose: "Caro Carlo, meglio un buon marito che un cattivo sacerdote: vai e trovati una brava ragazza". E l’ho trovata davvero».

Leggi anche
Più forte di spagnola e Covid, la caparbietà di Augusta spegne 108 candeline

Suggerimenti