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La storia

Marco da Bosco che serve i «gnochi sbatùi» in America

Stevanoni, partito dalla Lessinia con una borsa di studio sportiva, ha aperto in Utah il ristorante «Veneto» con ricette tradizionali veronesi
Marco Stevanoni con la moglia Amy nel loro ristorante «Veneto» in Utah
Marco Stevanoni con la moglia Amy nel loro ristorante «Veneto» in Utah
Marco Stevanoni con la moglia Amy nel loro ristorante «Veneto» in Utah
Marco Stevanoni con la moglia Amy nel loro ristorante «Veneto» in Utah

Ultimo tocco: una generosa grattugiata di ricotta affumicata. E, mentre il profumo avvolgente del burro di malga fuso solletica il palato, un piatto fumante di «gnochi sbatùi» viene servito a tavola. «Enjoy», augura il cameriere al commensale. Non siamo in Lessinia ma negli Stati Uniti. Per la precisione a Salt Lake City, capitale dello Stato dello Utah. Dove, ebbene sì, è possibile gustare gnocchi di malga «buonissimi», assicura chi li ha assaggiati. E ci fidiamo: tra gli ingredienti c’è un pizzico di Verona.

Il tavolo a cui è seduto il fortunato cliente è quello del ristorante «Veneto», aperto a luglio 2016 da Marco Stevanoni con la moglie Amy. Il cibo italiano li ha fatti incontrare per caso, era il 2001. Il cibo italiano li tiene tuttora uniti nell’attività di famiglia nella quale le origini veronesi e montanare di lui hanno incontrato le conoscenze nel settore del marketing di lei. «Nello Utah c’è un po’ di cucina locale ma manca una cultura legata alla ricerca degli ingredienti», esordisce Marco, che incontriamo a Verona in uno dei suoi periodici ritorni. Spiega che in America è molto facile aprire un locale: la burocrazia è poca, in tre giorni si riesce a fare tutto. Difficile è invece trovare un ristorante italiano che non sia «americanizzato».

 

Un menù veronese, tra gnochi e Amarone

Riconduce qui e a diverse cene apprezzate dagli amici, visto che Marco se la cava bene tra i fornelli, la scelta di aprire un ristorante e di chiamarlo Veneto nel quale sono gli ingredienti freschi, fatti arrivare dall’Italia, a trionfare nei piatti. «Proponiamo un’esperienza di degustazione con sette portate legate alle stagioni, per far conoscere i gusti tipici italiani, a cui si affianca un menù alla carta con pietanze molto tradizionali», svela. Qualche esempio? Bigoli con l’anatra, polenta e spezzatino, tartufi della Lessinia, risotto all’Amarone, pasta all’uovo tirata a mano; dessert a base di tiramisù o strudel, non manca lo «sgroppino» a chiudere il pasto.

«Ed, essendo io cresciuto a Bosco Chiesanuova, gli gnocchi di malga preparati al momento», aggiunge il quarantottenne. L’altitudine della città, a 1.300 metri, e le vette a disegnare in lontananza l’orizzonte probabilmente aiutano a far apprezzare queste proposte culinarie. Invece per Marco riconducono a paesaggi e atmosfere familiari. «Abbiamo dovuto forzare la mano», continua, «senza cedere a compromessi o accettare variazioni». Insomma: niente salsa barbecue ad affogare gli gnocchi né spaghetti stracotti; niente mance da lasciare obbligatoriamente sul tavolo; l’ambiente è elegante e raffinato. I dettagli sono fondamentali. Perché «nulla sia diverso da come dev’essere», marito e moglie presidiano giornalmente quello che cuoce nelle pentole ed è preparato con cura da chef italiani.

Gli ingredienti devono essere freschi e di qualità: farine italiane, burro di malga, ricotta affumicata prodotta in Lessinia, vino ad accompagnare i piatti. Unico prodotto in deroga, che però rende speciale l’impasto e rimanda alla ricetta tradizionale dei malgari, è la fioretta. Negli Stati Uniti si trova addirittura tra gli scaffali del supermercato tant’è diffusa visto che è usata per preparare muffin e pancake. Il risultato? «Un successo. C’è chi torna proprio per gli gnocchi. In generale, il ristorante è apprezzato e frequentato anche da persone di città diverse». Nonché dagli italiani di passaggio da Salt Lake City che prima si fermano perché ritrovano un’assonanza e poi rimangono sorpresi dall’offerta gastronomica del ristorante che serve i sapori di casa.

 

Nuove idee per il futuro

L’idea è continuare a migliorare e magari aprire punti di ristoro nei quali servire stuzzichini, pizza e panini. Malgrado le buone intenzioni, uno degli ostacoli più grandi è trovare personale per la cucina e il servizio in sala: persone del luogo o italiani disposti a lasciare l’Italia per lavorare all’estero. E, quando si trova qualcuno disposto a fare la valigia, «è complicato farlo arrivare e ottenere il visto lavorativo: le professioni di cuoco e cameriere non sono considerate posizioni di rilievo». Ma Marco non si arrende ed è determinato a portare avanti la sua idea di cucina. Del resto, è abituato a stringere i denti davanti alle sfide.

 

La scelta di restare negli Usa

Nel 1999 ha lasciato le terre alte di Bosco dopo aver vinto una borsa di studio per lo sci di fondo all’Università dello Utah, dove si è laureato in Scienze motorie. «Ero giovane, ho colto l’opportunità di frequentare un ateneo americano e sono partito. Mai avrei pensato di restare, e invece...», confessa. Altra parentesi sportiva è stata con il golf, dove ha giocato come professionista per alcuni anni. Finché non ha lasciato le mazze per il tempo libero, iniziando a importare e commercializzare vino italiano in tutti gli Stati Uniti, con un’azienda che ha sede a New York. Il golf è comunque tornato utile, visto che parecchi affari si chiudono sul green. La commercializzazione di vini porta Marco a girare in lungo e largo per gli Stati Uniti, ma lo riconduce periodicamente in Italia. E a Verona, all’affetto di mamma Nadia Piccoli e papà Armando che gli «gnochi sbatui» preparati dall’altra parte dell’oceano li hanno assaggiati eccome. Saranno pure di parte, ma li giudicano perfetti.

Marta Bicego

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