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Lessinia

Pungitopo, Agrifoglio e Rosa di Natale. Le magie del bosco durante l'inverno

Sono le infiorescenze che accompagnano le nostre festività e, al tempo stesso, che creano un’atmosfera magica anche nei boschi.
Il Pungitopo, «Ruscus aculeatus»
Il Pungitopo, «Ruscus aculeatus»
I segreti del bosco d'inverno (Scandolara)

Pungitopo, Agrifoglio, Rosa di Natale. Sono le infiorescenze che accompagnano le nostre festività e, al tempo stesso, che creano un’atmosfera magica anche nei boschi.

Avete mai fatto caso? «La Natura durante l'inverno rallenta il suo ritmo vegetativo: molti alberi e arbusti perdono le foglie, nelle piante erbacee si seccano gli steli, rimangono attive in alcune specie le rosette fogliari basali che porteranno le piante a primavera a svilupparsi nuovamente», spiega il naturalista Silvio Scandolara. L’ambiente sembra sopito, eppure «in questo scenario fanno eccezione alcune piante che sono diventate tradizionalmente bene auguranti». E rendono questo periodo più festoso.

False foglie e aculei, la trasformazione è completa

Il Pungitopo, «Ruscus aculeatus», si caratterizza per le sue false foglie con aculei, chiamate cladodi. In inverno, le piante si «vestono» di bacche dal colore rosso vivo che possono resistere fino a un centinaio di giorni. «Le raccogliamo perché di buon augurio, proprio per il lungo periodo che il frutto resiste», osserva l’esperto.

Vivono fino al limite della zona collinare, circa 600 metri; temono il freddo e si sviluppano su terreni asciutti, anche aridi e sassosi, nel sottobosco di quercia e leccio. Perché si chiama Pungitopo? «Per l'uso che i contadini facevano dei rametti: nelle cantine, venivano intrecciati e collocati vicino a formaggi o salumi per tenere lontano i topi con le punte acuminate dei rami», risponde.  

L'Agrifoglio, «Ilex aquifolium», deriva dal latino «ilex» (leccio) e «aquifolium» (foglia acuta, spinosa). Gli antichi romani, durante i Saturnali – festività che in epoca imperiale si svolgevano dal 17 al 23 dicembre –, erano soliti intrecciarne dei ramoscelli come simbolo di prosperità e per scacciare i malefici. Anche per i popoli barbari era una pianta sacra, mentre gli Etruschi la ritenevano pregiata ma pericolosa, quindi da non coltivare nei giardini per la presenza di frutti, piccole bacche rosse molto velenose. 

«In Lessinia, in particolare nella fascia tra i 600 e i 1.000 metri, si possono incontrare piante alte oltre 10 metri. Dimensioni da considerare veramente notevoli», evidenzia il naturalista. E aggiunge un dettaglio: «Le foglie, in basso, sono aculeate per tenere lontani gli animali che potenzialmente potrebbero cibarsene. Verso l'alto, il numero di aculei diminuisce gradualmente: è un modo per ottimizzare le energie. Produrre foglie senza o con meno aculei è un risparmio!». 

Bella e velenosa come solo la Rosa di Natale

Bella e velenosa è pure la Rosa di Natale, «Helleborus niger». Ranuncolacea, con splendidi fiori bianchi dalle venature rosate, che fiorisce in pieno inverno e già a Natale in alcune località abbellisce i sottoboschi. È una pianta che si collega a molteplici leggende: «Il nome del fiore è di origine greca, da “Hellèboros”, il fiume greco che attraversa la città di Antikyra, dove nell'antichità contro si usava la pazzia una specifica pianta».

Si tratta dell’«Helleborus orientalis» che, il 20 marzo scorso, Scandolara ha segnalato per la prima volta nel Veronese. Leggenda vuole, continua, che Eracle (Ercole per gli antichi Romani) «fosse stato guarito dalla pazzia per essere stato trattato con questa pianta. Pare che gli antichi filosofi ricorressero ai suoi principi attivi per raggiungere uno stato molto simile alla meditazione profonda».

E ancora: «Il medico Paracelso si servì delle foglie di Elleboro per la preparazione di un “elisir di lunga vita”. Inoltre Gabriele D'Annunzio, ne “La figlia di Iorio”, scrive: “Vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura». Un’altra meraviglia della natura, raccomanda, da ammirare… ma non toccare.

 

Marta Bicego

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