Tutto è relativo. In soldoni e vita normale: ogni cosa dipende dal contesto. Strano a dirsi ma la «teoria della relatività» sembra però influenzata dall’altimetria. Succede infatti che, nei rifugi alpini, la folla montante dei nuovi frequentatori della montagna tenda a trasferire abitudini apprese nei centri storici o negli ipermercati.
Accade che, oltre i 2.000, metri qualcuno chieda «un caffè in vetro, con latte di soia e un po’ di cacao». O un «Americano», o il «macchiatone». Avventurosi sventurati che non sanno come spesso tutto, lassù, dipenda da rifornimenti issati (meteo permettendo) con una teleferica ed anche l’elettricità, resa (quasi sempre) disponibile gratuitamente per la ricarica di cellulari e batterie fotografiche, sia legata all’azione di un generatore. Alimentato da carburante pagato dal gestore. Nuovi adepti della montagna, capaci di lamentare l’assenza di doccia calda in rifugi in cui l’acqua arriva, letteralmente, goccia a goccia. E non c’è ghiaccio a sufficienza per lo «spritz».
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I servizi
Situazioni «al limite» ma reali. E testimoniate, dalle Dolomiti alla montagna veronese. Perché ad ogni gestore di rifugio, più o meno «in quota», è capitato di sentirsi rivolgere le richieste, e relative proteste, per servizi impossibili che sarebbero stati doverosi in pianura. C’è chi si indigna per la limitata agibilità del bagno comune, dove sono esposti messaggi espliciti: «Usare lo sciacquone solo se indispensabile». Ed «indispensabile» è lasciato all’intuizione minima. Un paio d’anni fa fece scalpore sui «social» il battibecco tra i conduttori del rifugio «Casati», blocco di partenza per le ascensioni al Gran Zebrù e al Cevedale, ed alcuni componenti una comitiva, infuriati per la richiesta di pochi centesimi per la fruizione dei servizi igienici: mantenuti decenti (e puliti) a 3.269 metri.

Strana gente si aggira sulle montagne, in cerca di avventura ma senza «manuale per principianti». In cui è spiegato anche il «galateo». Il rifugio alpino, infatti, è luogo di passaggio ma soprattutto «ricovero»: salgono escursionisti, scendono alpinisti dopo una giornata in parete, arrivano turisti per il paesaggio. Persone con attese diverse. L’offerta gastronomica, rispetto al binomio polenta - minestrone consueto fino a non molti anni fa, spesso è in concorrenza con quella di un ristorante. Ma non tutto si può avere. Si dorme ancora nelle camerate (anche se spesso esistono stanze da 2 o 4 persone) e, giocoforza, anche l’olfatto deve adeguarsi, visto che in quota la doccia è un lusso quasi impossibile: ma nessuno muore per contatto ravvicinato (e breve) con una maglietta sudata.
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Nuovi arrivi
Alessandro Tenca, sdrammatizza e sorride: «Il bello è vedere una generazione nuova che arriva in montagna, come segnale non è male», premette. Ventenni, trentenni a coppie o multipli (gruppo di amici) che per la prima volta provano questo tipo di esperienza. «Qualche nota stonata però c’è, ed appare evidente. Ma tutto ciò può essere», aggiunge, «anche un’occasione, la spinta a divulgare più capillarmente la “cultura della montagna“, del sapere “stare nell’ambiente“. Possiamo stare solo ad osservare questo fenomeno oppure intervenire, spiegare, cercare di fare crescere. Tra dieci o vent’anni, a conti fatti, saranno proprio loro ad andare per le montagne». L’anagrafe detta le regole, non si sfugge.