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ERBEZZO

Veterinario esce di strada con l'auto per evitare un lupo: «Ho rischiato di finire nello strapiombo»

E il sindaco di Sant'Anna d'Alfaedo, scrive al prefetto: da inizio anno 135 capi sbranati o dispersi
Cristian Lavarini, il veterinario uscito di strada a causa di un lupo
Cristian Lavarini, il veterinario uscito di strada a causa di un lupo
Cristian Lavarini, il veterinario uscito di strada a causa di un lupo
Cristian Lavarini, il veterinario uscito di strada a causa di un lupo

Stava percorrendo in auto la strada che da Malga Lessinia va verso Passo Fittanze, nel territorio di Erbezzo. Andava piuttosto piano: «Non si può correre in quella zona, dove la carreggiata è stretta e si rischia di trovarla invasa dal bestiame al pascolo».  Ma a tagliare la strada a Cristian Lavarini, veterinario che abita a Fosse e opera in diversi allevamenti della Lessinia, non è stata una mucca: «All’altezza di Malga Modo, da destra, mi è comparso davanti all’improvviso un lupo. Me lo sono ritrovato di fronte alla macchina. Ho avuto una reazione istintiva», racconta lui. «Ho frenato, ma anche sterzato. La macchina è sbandata di lato, ha sbattuto contro un pilone di pietra sul ciglio e si è ribaltata prima su un fianco, poi sul tettuccio, e poi sull’altro fianco». 

Sballottato nell’abitacolo, con il parabrezza in frantumi, Lavarini si è ritrovato in mezzo a un prato, senza per fortuna aver riportato altro se non un grande spavento. Ma restano i danni al suo veicolo e agli attrezzi che trasportava, sparsi tutt’intorno sull’erba. Ripensa: «Fosse successo cento metri più avanti, sarei finito in uno strapiombo». 

Lo stesso giorno, l'ennesima predazione a Malga Camporetratto

Lo stesso giorno c’era stata una predazione, l’ennesima, a Malga Camporetratto, a circa 400 metri in linea d’aria dal luogo dell’incidente: «Forse c’entrava proprio quel lupo», suppone il veterinario. 

L’episodio risale a martedì scorso: erano le 18, sul finire della giornata di lavoro di Lavarini. Poi, tramite il passaparola, la notizia si è diffusa. E ha esacerbato ancor di più una questione che, ormai, «oltre alle predazioni in sé, e alle loro pesanti ripercussioni economiche, sta causando forti tensioni e conflittualità nel tessuto sociale, nelle aziende, addirittura nelle famiglie degli allevatori», avverte Raffaello Campostrini, sindaco di Sant’Anna d’Alfaedo.

 Qualche giorno fa, Campostrini ha portato il problema sul tavolo del prefetto Donato Cafagna. Dall’inizio dell’anno sono 135 i capi sbranati, o dispersi, o feriti troppo gravemente e quindi soppressi, fra vitelli e manzette per la maggior parte, ma anche fra pecore e capre, asini e puledri. 

«Sono molto preoccupato», rivela il sindaco. «È dura per chiunque, credo, vedere coppie di genitori piangere perché dopo anni di enormi sacrifici, con cui erano finalmente riusciti a raggiungere il ricambio generazionale nella gestione dell’azienda, ora assistono impotenti alla rinuncia da parte dei loro figli, perché non si riesce più a tutelare il bestiame». 

«Già ai primi di agosto», prosegue, «diverse aziende hanno deciso di portar via i capi dall’alpeggio, nel tentativo di salvarli dalle predazioni; ma comunque dopo pochi giorni sono stati vittime di attacchi anche nei prati qui attorno alle stalle e ai paesi, dove generalmente potevano rimanere a pascolare all’aperto fino alla fine di novembre». 

Sempre meno bestiame nelle malghe e il paesaggio sta cambiando

«A cosa può portare questa situazione? Di anno in anno, sempre meno malghe si caricano di bestiame. E le conseguenze si cominciano già a vedere nel paesaggio che sta cambiando», sottolinea Campostrini. «Erba alta e secca che rimane sui pascoli a fine della stagione d’alpeggio; spine e rovi. Non potremmo sostituire in alcun modo l’opera di manutenzione che le mandrie e la presenza dell’uomo compie sugli alti pascoli».

Fa eco Daniele Marconi, presidente Coldiretti Sant’Anna e allevatore: «Non può considerarsi risarcita l’azienda che riceva il ristoro dopo una predazione. Il disperato tentativo di proteggere il bestiame dai lupi genera altri costi indiretti. Per esempio, chiudere gli animali nelle stalle in anticipo significa non far mangiare l’erba dei prati ma il fieno, che oggi ha prezzi alle stelle; maggiori costi di pulizia e di smaltimento del letame». 

«Non solo», aggiunge Marconi. «Fra i capi scampati agli attacchi, è comunque aumentato il numero di aborti. Non è solo una questione di soldi: non alleviamo i nostri animali per vederceli sbranare. Io, che guido un’azienda biologica, devo seguire un rigido protocollo sul benessere del mio bestiame. Ma quale benessere, se non si può nemmeno far uscire gli animali al pascolo senza l’ansia, ogni mattia, di trovarne qualcuno divorato?».

Conclude il sindaco Campostrini: «Come possiamo evitare l’abbandono delle montagne? Come possiamo dare una speranza a quei giovani che tentano di portare avanti le attività con un impegno di 365 giorni all’anno? La presenza dei lupi deve essere gestita e non lasciata crescere in modo incontrollato».

Lorenza Costantino

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