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badia calavena

Torna «Ciamar marso», in Lessinia rivive il rito pagano della rinascita

L'antica tradizione riproposta dai Pistonieri dell'Abbazia. In costume tradizionale, le voci dalle contrade e gli spari dei trombini: canti, rime e schioppettate nella notte e rituali di corteggiamento
I partecipanti al «Cantar marso» in costumi tradizionali per rievocare i riti della ripresa della stagione agricola
I partecipanti al «Cantar marso» in costumi tradizionali per rievocare i riti della ripresa della stagione agricola
Ciamar Marso (Bicego)

Riecheggiano voci dal monte San Piero che domina l’abitato di Badia Calavena. «Entra marso in te sta tera par maridàre na bela butela», si sente. «Ci èla? Ci no èla?», chiede un coro, mentre la luce cede alla penombra della sera. La risposta non tarda: «L’è la fiola del Martèla, che l’è la pì bèla». Seguono urla, schiamazzi, risate; poi rumori provenienti da campanacci e da strumenti improvvisati come megafoni, coperchi di pentole, latte vuote. Sottolineano, assieme a frasi ironiche e goliardiche, il nome del fortunato «bel fiolo» che è destinato a prendere in sposa la bella ragazza.

Rito diffuso

In passato, almeno fino agli anni Sessanta, quello del «Ciamar marso» era un rito piuttosto diffuso nelle contrade della Lessinia. A Giazza, per esempio, avveniva alla luce dei falò; a Velo, così annotava Piero Piazzola, l’entusiasmo era tale che spesso degenerava in rissa.

Dopo aver attinto dai ricordi degli anziani del paese e dalle pubblicazioni sul folclore locale, sabato, nel tardo pomeriggio, il gruppo dei Pistonieri dell’Abbazia ha voluto rispolverare questa usanza con canti, balli e scambi di filastrocche. Non senza le immancabili sarabande degli spari di trombini, proposte dagli sparatori dell’associazione, a rimbombare tra le valli dal bosco che circonda l’abbazia.

Allo squillo del corno, «fuoco» alle polveri. Secondo la tradizione, spiega il presidente del fragoroso sodalizio, Nereo Stoppele, «i giovanotti, ma anche gli anziani, si davano appuntamento all’imbrunire, in due o più gruppi, in luoghi prestabiliti». A fare da sottofondo all’incontro, il frastuono di trombe, di corni, di «bandoti» e di colpi di fucili.

Accompagnavano cantilene e filastrocche, precedentemente concordate: rime scherzose, dai contenuti talvolta piccanti, che nell’oscurità della notte si aveva maggior ardire a pronunciare, non avendo il timore che si scoprisse chi li pronunciava.

La stagione feconda

«Questo rito pagano», evidenzia Stoppele, «rappresentava l’inizio del nuovo anno agrario ed era il momento non solo per ripetere i rituali per scacciare gli spiriti malvagi e ingraziarsi quelli portatori di una nuova e feconda stagione». Nella quotidianità della civiltà contadina, diventava un’occasione, aggiunge, «per invitare le ragazze in età da marito a rompere gli indugi e a scegliere il futuro sposo con cui metter su famiglia».

Storie d’amore a lieto fine

«Ghe l’enti da dare?», ribattono ancora le voci. «Dénghela! Dénghela!», è la replica a suggellare l’evento per dare il via alla festa, proseguita con un momento conviviale all’ombra del campanile dell’abbazia.

Da 31 anni, l’associazione s’impegna nel custodire la tradizione degli «sciopi da sagra» grazie all’entusiasmo di un’ottantina di soci e alla passione di 25 sparatori. Nei costumi tradizionali - gonna scura e grembiule con camicia bianca e corpetto ricamato per le donne, pantaloni alla zuava, giacca e gilet rosso per gli uomini - i Pistonieri dell’Abbazia aiutano a mantenere viva questa, e altre, usanze del passato.

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