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Cent’anni in solitudine

Nel fotomontaggio, la casa a Pian di Cologna dove vive solitario Aurelio Bosaro e l’indicazione per raggiungere la località Aurelio Bosaro, centenario
Nel fotomontaggio, la casa a Pian di Cologna dove vive solitario Aurelio Bosaro e l’indicazione per raggiungere la località Aurelio Bosaro, centenario
Nel fotomontaggio, la casa a Pian di Cologna dove vive solitario Aurelio Bosaro e l’indicazione per raggiungere la località Aurelio Bosaro, centenario
Nel fotomontaggio, la casa a Pian di Cologna dove vive solitario Aurelio Bosaro e l’indicazione per raggiungere la località Aurelio Bosaro, centenario

«Fin che Dio vorrà, io resto qua». Lo ripete come un mantra, Aurelio Bosaro, che vive solo in località Pian di Cologna e oggi taglierà il traguardo del secolo di vita. Terzo di quattro fratelli, è nato a Campiano di Cazzano di Tramigna, a un chilometro e mezzo da dove vive ora e dove può incontrare le prime anime vive. È riuscito a studiare scendendo a piedi dal paese fino al fondovalle tutti i giorni, poi trasferendosi a casa della nonna che abitava a Verona per frequentare Ragioneria e trovare subito impiego alla Motorizzazione civile come ispettore per i collaudi, le revisioni e le pratiche per il rilascio della patente di guida. Sarebbe stata una carriera impiegatizia tranquilla se non ci fosse stata di mezzo la guerra e il suo inquadramento nel Reparto Sanità che lo portò a operare come infermiere nell’ospedale militare di Verona. Due volte scampò fortunosamente al fronte. La prima grazie al sonno. Non dormiva in caserma, ma a casa della nonna e la mattina che doveva partire per imbarcarsi con il suo reparto per il fronte africano, si addormentò e perse il treno. «Una fatalità che mi costò qualche giorno di galera, ma mi salvò la vita. La nave fu silurata e colò a picco con tutti i suoi commilitoni». L’appuntamento con il destino era solo rinviato. In ospedale si offrì di donare il sangue a un ferito grave che tornava dal fronte russo: «Mi prelevarono 5 etti e mezzo di sangue e mi diedero in premio una licenza di una settimana: proprio la settimana che il mio reparto partì con l’ultimo treno destinato al fronte russo», racconta. Ma non si può dire che sia tipo da tirarsi indietro. Dopo l’8 settembre 1943, raduna una trentina di commilitoni che non sanno dove scappare dai tedeschi e li porta a Campiano, sui monti che conosceva bene: diventa il comandante Franco e guida fino alla Liberazione una compagnia che opera sotto la copertura della Brigata Manara, fondata da Luciano Dal Cero in Val d’Alpone. «Non ho mai sparato un colpo e non lo hanno fatto neanche i miei uomini», sottolinea, «ma organizzavamo imboscate ai soldati tedeschi che venivano in perlustrazione. Li catturavamo, prendevamo le armi e li consegnavamo ai gruppi partigiani della Lessinia perché li instradassero verso casa. In fin dei conti era quello che speravano anche loro e noi ne offrivamo l’opportunità». Per questo sue imprese il comando Alleato, a fine guerra, gli riconobbe il titolo di tenente e lo stipendiò con quel grado per tutti i mesi passati nella Resistenza. «Devo dire che mi hanno liquidato con un bel gruzzolo, per quegli anni», riconosce l’ex comandante Franco. Posate le armi, sposa nel 1948 la compaesana Assunta, di una anno più giovane e che vive oggi a Treviso con la figlia Ivana. Dal loro matrimonio sono nati anche Tiziano e Nereo. Ha operato anche alla Motorizzazione civile di Venezia, prima di andare in pensione e ritirarsi quassù, fra le colline dell’infanzia, e portare a termine un sogno: comperare un’intera contrada a Pian di Cologna con 45 campi veronesi attorno per farne il suo piccolo grande regno. Una ventina di anni fa riuscì perfino a costruire una strada di collegamento fra Campiano e il bivio con la strada Tregnago-San Giovanni Ilarione, poco meno di quattro chilometri, ma che nessuno avrebbe mai immaginato e trovato i fondi necessari. Lui ci riuscì, come anche a diventare Cavaliere della Repubblica, diploma incorniciato in cucina con le firme del presidente Giovanni Leone e di Giulio Andreotti, in occasione della festa della Repubblica del 1973. Tanto energico e intraprendente nella sua vita attiva, quanto mite e remissivo oggi, alla soglia del secolo, ma orgoglioso della sua solitudine. Non vuole allontanarsi da Pian di Cologna dove vive praticamente da eremita. «È qui la mia vita, in mezzo alla natura. Qui, quando potevo coltivavo l’orto e regalavo verdure a tutti. Oggi raccolgo il timo che spunta nella scarpata sotto casa e ne faccio una tisana quotidiana toccasana, fin da quand’ero giovane. Qui ho anche Michele, un angelo custode rumeno che mi viene a trovare tutti i giorni, quando torna dal lavoro, mi aiuta a mettermi a letto e mi porta quanto mi serve». Nessuna paura a vivere da solo così isolato? «No, ho solo fatto del bene nella mia vita. Chi mi può voler male? Ci sono tante persone riconoscenti e mi piace stare qua, fin che Dio vorrà», ripete. Oggi a Campiano ci sarà la messa e una piccola festa, ma non è sicuro di parteciparvi: «Vedremo come mi sentirò la mattina», dice, mentre si prepara la sua miracolosa pozione di timo. •

Vittorio Zambaldo

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