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San Rocco di Piegara

Bonomi, l'alpino-dentista che estrae vecchie storie dall'oblio

Riccardo Bonomi
Riccardo Bonomi
Riccardo Bonomi
Riccardo Bonomi

Serve un metodo quasi chirurgico per scavare nelle vicende del passato. A partire da un nome manoscritto su un documento militare ingiallito dal tempo si arriva a scartabellare gli archivi e a ripercorrere le gesta di un soldato che ha combattuto per la Patria nella Prima o Seconda Guerra mondiale. Metodo che, vuoi per indole o formazione, appartiene a Riccardo Bonomi: alpino e dentista in pensione che predilige «estrarre» piccole (ma significative) storie dall’oblio.

«Che ci sia qualche gene nel Dna?», scherza Bonomi. Classe 1949, cresciuto a San Rocco di Piegara, nel comune di Roverè. Il bisnonno Daniele aveva velleità da scrittore: già sindaco di Velo per un decennio, sul retro dei fogli avanzati al lavoro (era ufficiale di posta) annotava le sue memorie insieme a quelle del paese. Attitudine che è stata d’ispirazione per Bonomi e il fratello Ezio, insegnante ora pensionato e autore di diverse pubblicazioni sulle tradizioni della Lessinia.

La storia di Riccardo Bonomi

«Mio padre forse sperava diventassi sindaco anziché dottore», racconta. In effetti, c’erano le premesse, ultimato il liceo classico: «A 22 anni, fino al 1977, sono stato il presidente della Pro loco più giovane del Veronese. A San Rocco tenevo la contabilità di due cooperative agricole, partecipavo al gruppo teatrale ed ero corrispondente di zona de L’Arena». Quante notti trascorse a chiacchierare davanti al camino con l’amico giornalista Giuseppe Faccincani, conosciuto quando lavorava in pizzeria in città per mantenersi agli studi universitari di Medicina.

L’arrivo della cartolina per il servizio militare ha rovesciato il destino di Bonomi che prima ha frequentato il corso ufficiali ad Aosta, quindi il servizio di prima nomina a Merano. Penna nera che tuttora porta con orgoglio seguendo i passi di papà Fiore, dello zio Riccardo e del suocero Vittorio Residori, colonnello del battaglione Sciatori Monterosa. Iscritto all’Ana da quarant’anni, è alla guida del Gruppo Verona Centro. Si dedica all’orto e al «lavoro più bello del mondo»: fare il nonno.

«Mi sono laureato in Medicina e specializzato in Otorinolaringoiatria. Pochi mesi in corsia all’ospedale di Borgo Roma e mi sono ritrovato a fare il dentista». Un amico ha chiesto di sostituirlo in uno studio a Isola Rizza e lì è rimasto. Tra un’otturazione e l’altra, la passione per la ricerca storica è tornata a farsi sentire. Il primo libro, nel 2004, è stato un volume sulla chiesa della Santissima Trinità, divenuta la sua parrocchia. Racchiude un’intervista al partigiano Vittore Bocchetta: «Una soddisfazione e un’avventura: lo raggiunsi la domenica in cui la città era bloccata per i Campionati del mondo di ciclismo».

Riccardo Bonomi
Riccardo Bonomi

Per la parrocchia, dal 2008, ha raccolto 112 biografie di Santi. È stato il parroco, don Graziello Martinelli, a dargli lo spunto di approfondire le Vie Crucis moderne: ne sono scaturite varie conferenze. Dalla più richiesta e replicata (54 volte) su «Gli eroi di Giazza. Il calvario di due innocenti» alle seguenti sui Fratelli Corrà «Da Bolzano a Flossenburg: sola andata», sul colonnello Giovanni Fincato e sul Papato a Verona di Lucio III e Urbano III. «Vicende che pochi veronesi conoscono».

Se un evento lo incuriosisce, snocciola date e aneddoti. Se di un evento gli sfuggono dei dettagli, si lancia in approfondimenti scrupolosi. Così è stato per lo zio Riccardo: ha consultato archivi e incrociato fatti a partire dai ricordi di famiglia per ricostruire la partenza con la divisa dai Monti Lessini, la scomparsa in Albania, il ritorno nel cimitero di San Rocco. Di un altro soldato, Giuseppe Girlanda, ha seguito gli spostamenti nella ex Jugoslavia per rintracciare (e rispondere al desiderio della nipote Agnese) dove fossero finite le spoglie. Per l’alpino Amelio Poggese di Cerro, arruolato nel 1934, ha aiutato la figlia Nerina a riannodare alcune vicende che l’hanno visto lasciare le terre alte alla volta di Albania e Grecia, finendo catturato dai tedeschi nel 1943 e deportato in Germania.

Ora gli resta un cruccio: «Non riuscire a completare la storia del cappellano alpino tenente don Arturo Caceffo, suo insegnante di latino negli anni del Seminario». Tanti sono i vuoti che nemmeno chi, ancora vivente, ha condiviso con lui una stanza per tre anni riesce a colmare: «Non una foto, non uno scritto». Rammenta a se stesso, con la tenacia dell’alpino e l’accuratezza del dentista: «Non è ancora detta l’ultima parola».

 

Marta Bicego

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