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IMPRENDITORE, INVENTÒ L'IMPIANTO DI BOSCO CHIESANUOVA

Addio ad Arrigo Dalla Valle, il «papà» dello sci veronese

Arrigo Dalla Valle, scomparso a 94 anni
Arrigo Dalla Valle, scomparso a 94 anni
Arrigo Dalla Valle, scomparso a 94 anni
Arrigo Dalla Valle, scomparso a 94 anni

Chi l’ha conosciuto, non ha dubbi: continuerà a guardare la Lessinia, anche da lassù, Arrigo Dalla Valle. Immaginandola nella stagione fredda: quando i pendii erano imbiancati dalla neve, gli sciatori facevano la fila agli impianti di risalita, le piste erano brulicanti di sportivi. E conservando nel profondo del cuore il ricordo di quella montagna, che oggi in parte non esiste più, della quale si era innamorato, decidendo di investire lì buona parte della sua vita e del suo entusiasmo.

Ormai 94enne, ha preso l’ultimo skilift Arrigo Dalla Valle, colui che si può definire il «papà» del Branchetto, il cui ultimo saluto sarà domani alle 10.30, nella chiesa di Tomba Extra, a Borgo Roma. Fu lui l’artefice della trasformazione della località di Bosco Chiesanuova in stazione sciistica che richiamava appassionati degli sci da discesa non soltanto da Verona ma da città più lontane come Mantova, Bologna e Reggio Emilia. Altri tempi, dei quali ha sempre mantenuto ricordi lucidi, nella convinzione che fossero ancora molte le potenzialità che la montagna veronese poteva offrire in termini di turismo.

La osservava da lontano la Lessinia, da quando il cuore affaticato dal passare degli anni non gli consentiva più di salire troppo alto in quota. «Ma non l’ha mai dimenticata», confermano due dei sei figli di Dalla Valle, Andrea e Daniele, ai quali si aggiungono le sorelle Raffaella, Simonetta, Elena e Giovanna con mamma Edda, venuta a mancare pochi mesi fa. Una famiglia cresciuta affondando gli scarponcini nelle nevi in inverno e correndo sui pascoli in estate. «Tutto partì da una visione», descrivono i figli. Il padre, nato nel 1928 nel comune di Fara Vicentino e diplomato perito agrario a Remedello nel Bresciano, era un uomo cresciuto in pianura ma con la grande passione per le montagne. Le visitava, si informava, raccoglieva idee.

Aveva conosciuto la neve frequentando Folgaria, tanto che più che indossare gli scarponi in prima persona, preferiva accompagnare le comitive sulle piste, organizzando pullman di sciatori. Perché allora non pensare ad una palestra invernale più vicina a casa? «Quando vide Branchetto, se ne innamorò a prima vista. Forse perché era la via più facile per raggiungere la sommità del Monte Tomba», proseguono i figli. In pochi secondi riuscì ad immaginare quello che, da lì a pochi anni, sarebbe diventata realtà. A partire dalla messa in funzione del primo impianto al Grietz, poi la costruzione dello Chalet Branchetto, la nascita della scuola di sci per avviare le giovani generazioni alla pratica sciistica, l’apertura di un punto noleggio per le attrezzature. E pensare, spiegano, che si era spinto fin lassù quando per l’azienda agricola che aveva iniziato a gestire a Sorgà, quando aveva solo 27 anni, servivano mani di braccianti da far lavorare nei campi. Attività abbandonata nel 1958, per dedicarsi, anima e cuore, al suo sogno. «Ha creato tutto da solo e si occupava di ogni dettaglio», confessano i figli: «Dalla manutenzione degli impianti alla preparazione delle piste, dall’amministrazione alla burocrazia fino alla gestione del personale. Era instancabile».

Appena aveva un attimo libero dalle varie attività quotidiane, infatti, entrava in cucina per dare una mano tra i fornelli alla cuoca Giovanna e alla moglie Edda. Quando non era alla guida di un gatto delle nevi, anche da mezzanotte fino alle quattro del mattino: non c’era tormenta di neve che potesse infierire o fermarlo, perché il giorno dopo le piste dovevano essere perfette per accogliere i turisti. Ed erano i tempi in cui ne scendevano a centinaia dalle corriere, stretti nelle tute e pronti a impugnare le racchette e fissare gli sci. Scene quasi difficili da immaginare adesso, ma da ottobre ai primi giorni di maggio era normale vedere i monti imbiancati da un copioso manto bianco. Il lavoro insomma non mancava, nemmeno per i figli, coinvolti tutti in quest’avventura, con l’obbligo però di dare la precedenza allo studio e all’università. Chi sulle piste, chi alla tavola calda: ognuno ha dato un contributo per far crescere questo sogno che Dalla Valle ha condiviso anche con il fratello Arnaldo e con socio Luigi Pimazzoni. Sogno durato fino al 1997, quando la neve ha iniziato a scendere meno copiosa. «Senza impianti di innevamento artificiale non era possibile continuare», concludono. Così l’attività è stata chiusa, seppur con dispiacere, ma al tempo stesso con la consapevolezza di aver contribuito a far vivere anni d’oro alla Lessinia. La sintesi di tanta passione donata al territorio resta in una scritta apparsa alla notizia della scomparsa di Dalla Valle su una delle casette d’arrivo dell’impianto di risalita sul Monte Tomba: «Arrigo per sempre».

Marta Bicego

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