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«Tracce di Pfas
anche a Verona
e San Giovanni»

Dimostrazione di protesta contro i Pfas a Trissino organizzata da un gruppo di madri davanti alla Miteni
Dimostrazione di protesta contro i Pfas a Trissino organizzata da un gruppo di madri davanti alla Miteni
Dimostrazione di protesta contro i Pfas a Trissino organizzata da un gruppo di madri davanti alla Miteni
Dimostrazione di protesta contro i Pfas a Trissino organizzata da un gruppo di madri davanti alla Miteni

Luca Fiorin

PADOVA

«L’acqua non è contaminata dai Pfas solo nella cosiddetta zona rossa, quella, maggiormente esposta all’inquinamento, che comprende anche 13 Comuni del Basso ed Est Veronese, ma anche molto lontano da lì. Per quanto ci riguarda, infatti, è stata riscontrata la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche anche a Verona, precisamente in una fontana pubblica di via Aquileia, e San Bonifacio, nei rubinetti delle elementari Sandri, in via Roma. A San Giovanni Lupatoto, caso che peraltro è unico, è risultato che all’interno della scuola primaria Cesari, in via Trieste, arriva acqua contenente in misura superiore ai limiti, 31,72 nanogrammi litro rispetto ai 30 previsti, una delle sostanze più pericolose fra quelle che fanno parte della famiglia dei Pfas, il Pfos».

A fornire questo, sinora inedito, quadro della situazione è Greenpeace, secondo la quale «c’è una situazione fuori controllo ben più vasta di quello che si pensava, con 800mila persone potenzialmente esposte all’inquinamento». L’associazione ambientalista ha presentato ieri a Padova il report «Non ce la beviamo», conseguente a una campagna di analisi di acque prelevate nelle scuole o, nel caso in cui non venisse concesso l’accesso dei volontari all’interno degli istituti, dalle fontanelle pubbliche.

«Questa iniziativa», ha spiegato il portavoce dell’associazione Gabriele Salari, «è stata pensata per vedere che acqua viene messa a disposizione dei bambini, che sono i soggetti più a rischio».

«Sulla scorta delle molte richieste arrivateci da genitori che non si fidano delle istituzioni, abbiamo realizzato prelievi in 18 scuole e 7 fontane, con l’obiettivo di mettere a confronto la situazione esistente nell’area che viene considerata al centro della contaminazione con territori distanti, in cui non ci aspettavamo di trovare i Pfas», ha spiegato il responsabile della Campagna inquinamento del sodalizio, Giuseppe Ungherese.

«Purtroppo, invece, li abbiamo trovati dappertutto e in forme che dimostrano che ci sono fonti dell’inquinamento ulteriori e diverse rispetto a quelle dell’area rossa», ha aggiunto. Precisando, poi, che le provette prelevate in scuole e spazi pubblici sono state analizzate da due diversi laboratori privati accreditati, i quali si sono trovati d’accordo sugli esiti.

Greenpeace ha cercato venti tipi diversi di sostanze perfluoro-alchiliche, mentre sono dodici quelle oggetto delle analisi che vengono fatte dalle istituzioni, e il risultato più elevato dell’area maggiormente esposta alla contaminazione è stato registrato a Roveredo di Guà, nelle elementari che si trovano in via Alighieri, dove sono stati trovati 378,58 nanogrammi per litro di Pfas.

«Un dato che, come tutti gli altri per quanto riguarda la somma dei vari composti, è inferiore ai 500 nanogrammi che costituiscono il limite di legge. D’altro canto, come accade per più della metà dei valori registrati, esso non permetterebbe di considerare l’acqua potabile se ci trovassimo nei Paesi in cui sono in vigore i limiti che più di recente sono stati adeguati in base agli studi scientifici più evoluti, Stati Uniti e Svezia», ha spiegato Ungherese. Il quale ha ricordato che in Italia i valori massimi sono fino a nove volte più alti di quelli americani e svedesi. Per quanto riguarda il Veronese, poi, Pfas in misure simili, per quanto più basse, di quella di Roveredo sono risultati anche nei rubinetti delle scuole primarie di Albaredo, via Vivaldi; Legnago, via Leopardi; Veronella, piazza Marconi; Pressana, via Mazzini; Zimella, via Castellaro, ed in una fontana di via Cavour, a Cologna. «Abbiamo scoperto che i Pfas sono nell’acqua potabile di Padova e del Rodigino, che negli acquedotti di Vicenza c’è, fra le altre, anche un composto, il Pfosa, che nemmeno viene cercato da Ulss e Arpav, e che a Verona ci sono sostanze, come l’Hpfuna e l’H2pfda, che non si trovano nella zona rossa», precisa Ungherese. «Quella esistente in Veneto è una situazione che non ha eguali nel resto d’Italia e che è una delle più grandi al mondo, per cui è necessario intervenire con forza, abbassando notevolmente i limiti, individuando e fermando le fonti di inquinamento e riconvertendo le produzioni che usano i Pfas, perché ci sono alternative disponibili».

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