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la levatrice della Valpantena

Addio a Lina, «mamma» di 3.500 bambini. Andava in Vespa a farli nascere

Donini se n'è andata a 102 anni. Al funerale molti dei suoi «figli»
Lina Donini, storica levatrice, se n'è andata a 102 anni
Lina Donini, storica levatrice, se n'è andata a 102 anni
Lina Donini, la levatrice della Valpantena

Lina Donini era la levatrice, anzi, la “comare“ della Valpantena: al tempo stesso ginecologa, ostetrica e puericultrice. Insomma, si occupava di gravidanza, parto e svezzamento: 3.500 nascite, nessun neonato morto. Un’infallibile specialista. Meglio, un’istituzione, tanto che era stata decorata molte volte da altrettante personalità pubbliche per meriti civili.

Impeccabile nel portamento e nell’abbigliamento. Messa in piega, manicure, giacca e gonna abbinate. Il camice da lavoro, bianchissimo e senza una piega. «Altrimenti Stella, la sorella, che era anche la sua segretaria, avrebbe immediatamente dovuto riaccendere il ferro da stiro», assicurano le nipoti Ivana e Maria Teresa Fasoli. La comare, a dispetto del nomignolo, non riferì mai un pettegolezzo a parenti, amici e conoscenti sulle pazienti che si affidavano alle sue cure. Altro che le firme sui moduli per la privacy cui si è costretti, oggi, per qualsiasi procedimento.

L’ultimo saluto

Lina è stata sepolta a 102 anni, alla fine dell’anno appena concluso, nel cimitero del capoluogo. Sebbene fosse stata autosufficiente fino all’ultimo giorno, nonostante la frattura ad una gamba, piuttosto che reggersi con il bastone per strada, preferiva restare nell’appartamento della palazzina di Grezzana dove abitava, in passato isolata, adesso vicina agli impianti sportivi e alla caserma dei carabinieri, a riordinare per l’ennesima volta i ferri del mestiere custoditi nelle valigette. Al funerale, la chiesa era stipata dai “suoi” figli e figlie.

Ilario Bombieri, l’amministratore comunale che ci ha accompagnato da Ivana e Maria Teresa, è uno di essi. «Il fato le diede ciò che il destino le tolse», commenta il pronipote Fabio Bianchi nel proprio messaggio di cordoglio su WhatsApp.

Il marito disperso in Russia

Il marito, Ennio Tassoni, era stato tra i dispersi in Russia nella Seconda guerra mondiale. Nelle fosse comuni non è mai stato trovato. Irrintracciabile, non defunto. Era meno straziante, all'inizio, almeno. Ogni ricerca, però, si sarebbe rivelata vana. «Lina aveva anch’essa un figlio al quale provvedere: Remigio», ricorda il pronipote. Così, nel 1949, la comare si trasferì da Marano di Valpolicella a Cerro. Nel 1962 un altro trasloco, questa volta a Grezzana. Remigio imparò addirittura il russo per ritrovare il padre. Ma prima della partenza per la Russia, il giovanotto perse la vita in un incidente stradale tornando da Bosco Chiesanuova.

In Vespa e Cinquecento

La levatrice, anche se piegata di nuovo dallo strazio in casa propria, si rialzò per dispensare felicità nelle famiglie altrui. Così, girò senza sosta la Valpantena, prima con una Vespa poi con una Cinquecento. Cambiò veicoli, ma sempre utilitarie. Fu la prima donna a prendere la patente da quelle parti. D’altronde, non ce n’era uno in Valpantena che non si desse da fare: emigrati per sopravvivere, proprio tra gli anni Cinquanta e Sessanta, gli abitanti rimpatriarono per fondare nuove aziende o consolidare quelle esistenti. Lina non fu da meno. Mai le colleghe avrebbero potuto avere altrettanta dimestichezza nel maneggiare le pance delle prossime mamme, conteggiare i battiti del cuore e controllare la posizione del nascituro.

«Pratica, non sbrigativa. All’epoca non c’erano ecografie da visionare. Non c’erano certezze che fossero maschietti o femminucce», osservano le due nipoti. La comare, comunque, frequentò i corsi d’ostetrica alla Maternità dell’ospedale di Verona. Ma non fu assunta. Ora sarebbe una partita Iva. «E quale professionista!» assicurano Ivana e Maria Teresa. La levatrice aveva ricavato l’ambulatorio all’interno della propria abitazione: lettino e carrello degli attrezzi. Notte e dì a disposizione delle clienti, prima che in qualche corte si rompessero le acque. «A Natale, quand’ero piccolo, portavano a Lina dei regali: lettere, fiori, cesti. Quest’anno, lei non c’era», ricorda il pronipote. C’erano i “suoi” figli e figlie che, tra l’altro, vaccinò perché fossero protetti dalla poliomelite, quando la profilassi, dal 1966 in poi, dopo le epidemie del 1958, fu obbligatoria. La comare, sempre mamma era.

Stefano Caniato

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