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«Bussolengo e Ovest, urgente
la pianificazione sanitaria»

L’ospedale Orlandi di Bussolengo
L’ospedale Orlandi di Bussolengo
L’ospedale Orlandi di Bussolengo
L’ospedale Orlandi di Bussolengo

«Quanti anni sono passati dalla formulazione del polo ospedaliero a due gambe? Se fino ad oggi è mancata la realizzazione, significa che il modello voluto a suo tempo dalla Regione non sta in piedi. E di questo, bisogna, con coraggio e senso di responsabilità, denunciare i limiti, senza assecondare logiche di campanile. Anche a rischio di risultare impopolari, ma errare è umano perseverare è diabolico. Non è con le proposte legate alle scadenze elettorali che si fa pianificazione sanitaria».

Così la consigliera regionale del Pd, Orietta Salemi, interviene in merito al dibattito aperto sulla riorganizzazione dei servizi tra gli ospedali di Bussolengo e Villafranca.

«I fatti lo dimostrano chiaramente: negli anni il polo a due gambe è risultato un modello azzoppato in partenza che ha fatto poca strada, anzi nessuna», continua Salemi. «Pertanto mantenere lo stato attuale della dotazione prevista dalle schede significa rimanere nelle acque ferme di questi anni che non hanno garantito, a fronte di molto denaro pubblico speso, alcun equilibrio tra presidi pubblici e privati accreditati. Ecco perché i sindaci, nel Comitato, hanno scelto la strada della responsabilità amministrativa, a costo di sacrificare anche la propria popolarità sul territorio di competenza e si sono esposti spingendo la Regione ad uscire dal guado di una paralisi del sistema di cura dell’Ovest veronese».

«Nel raggio di 15, massimo 20 chilometri, ci sono le strutture di Bussolengo, Villafranca, Negrar, Peschiera e Verona, con Borgo Trento e Borgo Roma», premette ancora Salemi. «Guardiamo anche i parametri del DM su distanza (20 minuti per emergenza/urgenza), rapporto presidi ospedalieri/abitanti, standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture, numeri posti letto (3/1.000 abitanti circa) e durata di degenza media (inferiore a sette giorni). La domanda è: possiamo ancora ragionare in termini esclusivi di ospedali municipali? Il ragionamento da fare è piuttosto un altro: l'efficienza del sistema si misura sulla continuità assistenziale ospedale-territorio e il potenziamento delle strutture territoriali garantisce un utilizzo appropriato dell’ospedale, evitando disagi ai Pronto soccorso e garantendo un'offerta capillarmente diffusa dei servizi alla persona».

«Purtroppo la responsabilità deficitaria della Regione Veneto è di non aver proceduto, di pari passo con la ridefinizione della rete ospedaliera, al conseguente riassetto dell’assistenza primaria, domiciliare e residenziale. Come tra l'altro previsto dal Piano socio sanitario», conclude Salemi. «La riduzione dei posti letto e della durata della degenza implica necessariamente un rafforzamento delle cure primarie e la tendenza a spostare sul territorio l’assistenza al paziente, cosa di cui oggi si avverte la carenza con drammatica attualità, come dimostrano lo sciopero dei medici di base, abbandonati a se stessi e la ripetuta richiesta, caduta nel vuoto delle strutture di comunità. La diminuzione dei posti letto ospedalieri, un trend che caratterizza tutta Europa, non significa meno qualità e meno cura: l'incremento del tasso di anzianità e l'aumento di malattie croniche spostano necessariamente l'attenzione dalla cura delle acuzie alle cure residenziali e di lungodegenza. In questo quadro l’aumento del numero di posti letto in un ospedale può non essere considerato una priorità, ma priorità è assicurare cittadini servizi territoriali capillari ed efficienti. A Bussolengo serve la pianificazione sanitaria territoriale, che deve essere contestuale alla ridefinizione delle schede ospedaliere».

Lino Cattabianchi

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