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La morte del runner

Le montagne veronesi e l'orso, dopo la tragedia in Trentino: gli ultimi avvistamenti su Baldo e Carega

Su Baldo e Carega avvistamenti e qualche danno (ma nessun aggressione) negli ultimi anni
Un orso
Un orso
Un orso
Un orso

La realtà è crudele. Un corridore di montagna, Andrea Papi, 26 anni, parte per un allenamento sui sentieri di casa, sopra Caldes, Comune della trentina Val di Non a 700 metri di altitudine. Non torna a casa: lo ritroveranno morto, insanguinato, con ferite devastanti.

 

L'autopsia a Verona

L’analisi forense, condotta dall’anatomopatologa dell’università di Verona Federica Bortolotti, conferma il sospetto: aggressione da parte di un orso, il primo caso con esito letale noto in Italia da decenni. L’esemplare, uno dei circa 100 che popolano le valli tra l’Alto Garda e il comprensorio del Brenta, per ora è geneticamente uno sconosciuto. Già condannato, al pari della sua vittima. La «procedura K» del Pacobace (Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali) in questi casi non lascia alternativa: sarà individuato e abbattuto. Presumibilmente tra le polemiche. «Questi animali si spostano», conferma Giovanni Giovannini, dirigente del Servizio Foreste della Provincia Autonoma di Trento. L’ultima segnalazione nel Veronese, ennesima nell’arco di decenni, è dell’aprile 2020, sopra Cassone, sul Monte Baldo: due avvistamenti ed una predazione su un alveare. Il «colpevole» sparì. 

 

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Orsi nel Veronese

Prima di lui (forse era «M49») altri si erano avventurati a Sud, per settimane o mesi. Ospiti di passaggio, protagonisti soprattutto di video per i social. «Gli esemplari arrivano anche nell’area del Garda, sull’Altissimo», conferma lo specialista. In Trentino le cose vanno però in modo diverso. «Qui c’è un problema di concentrazione, talvolta nell’areale limitato di poche valli», spiega Giovannini. L’aggressione ad Andrea Paci ha per teatro una strada forestale, non distante da Caldes, sulla destra orografica del Monte Peller. Dove però, chiarisce il dirigente del Servizio Foreste della Provincia Autonoma, «si contano una ventina di esemplari».

Non pochi per un territorio relativamente ristretto. Il piano di reintroduzione europeo del 1996, l’ormai dismesso da anni «Life Ursus», prevedeva tra le province da coinvolgere anche Verona. Gli orsi scelsero diversamente: meglio le valli solitarie e selvagge, i campi e i pascoli tra il Brenta e le Giudicarie. L’area montuosa scaligera restò appetibile ai plantigradi solo per escursioni (comunque decine di chilometri in un giorno, per un esemplare adulto) estemporanee, «mordi e fuggi» letteralmente. «Il problema», spiega ancora il funzionario, «sta anche nell’impraticabilità di fatto di quella che era sembrata, in tempi passati, una soluzione, ovvero la ricollocazione. Bisogna trovare la disponibilità da parte dei territori...».

Il caso del lupo, pure presente in Trentino con la discendenza della «coppia alfa» Giulietta e Slavc, è emblematico: sono odiati in Lessinia, al pari che sul Baldo e nelle valli trentine dove si sono già diffusi con nuovi branchi. In questi casi scatta la reazione: «Not in my backyard», non nel mio giardino.

 

La gestione dell'orso

In via informale ogni specialista di fauna selvatica lo ammette: il caso del povero Andrea ha a che fare con una sfortuna al limite dell’immaginabile. Poco conta «chi abbia sorpreso chi», involontariamente: il predatore di fronte alla «preda» in corsa ha agito secondo istinto. Il resto sarebbe solo un brutto racconto.
«Ma l’altro lato della questione sta nella difficoltà di gestione dei casi “problematici“, legati a singoli esemplari pericolosi, per cui è previsto, come misura estrema, l’abbattimento. Oltre che nella forte antropizzazione, anche turistica e con milioni presenze, del nostro territorio», spiega Giovanni Giovannini. Il caso dell’orsa «JJ4», responsabile dell’aggressione a due persone, ancora una volta sul Monte Peller, è emblematico: per la Provincia Autonoma doveva essere eliminata ma, dopo una levata di scudi da più parti, una sentenza del Consiglio di Stato bloccò la decisione. Nessun faunista esulta quando obbligato a premere il grilletto. «Fatto sta che “lei“ è ancora in giro», riflette il dirigente del Servizio Foreste. Soluzioni? C’è chi vorrebbe lo sterminio, mentre gli ambientalisti fanno barriera sul fronte opposto. «Sbagliato comunque dire che non vi sia informazione: le regole da seguire nelle zone più interessate dalla presenza di plantigradi sono chiare, lo sforzo in questo senso è stato ed è massimo», ribadisce Giovannini. 
In alcune aree, come la Val di Genova, volontari distribuiscono ai turisti nella stagione di massimo afflusso vademecum di comportamento e contenitori per il cibo.

 

Le regole

Nel 2020 l’orso «M49», soprannominato «Papillon» per la sua abilità nel sottrarsi alle ricerche, fece danni al rifugio «Mario Fraccaroli» sul Carega, in Trentino al confine con il Veronese. Restò in zona per diversi giorni, venne immortalato in un video. Poi sparì, lasciandosi dietro le preoccupazioni degli amministratori della zona.
«L’argomento è molto complesso», ammette Giovanni Giovannini. Ed ha ragione: l’orso è specie «particolarmente protetta» dalla direttiva europea Habitat, che va poi integrata all’interno delle norme nazionali, incluse anche le valutazioni ministeriali e dell’Ispra, l’Istituto nazionale per la gestione della fauna selvatica. Al momento è un ginepraio, cui molti operatori sperano «si finisca per mettere mano». 
C’è chi sogna di eliminare gli orsi (e magari i lupi). E Chi sta dalla parte dei predatori senza «se né ma». Manca, nel mezzo, una rivisitazione della convivenza tra umani e selvatici, ridefinita dopo anni di esperienze alla luce dei dati e dei fatti, affidata agli specialisti. Con realismo e senza opposti fanatismi. Sarebbe un buon modo per onorare la memoria di un ragazzo che correva nei boschi. 

 

Paolo Mozzo

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