<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
LA PRIMA PARACADUTISTA D'ITALIA

«L'aereo si allontana e sei padrona del cielo»

Elda Garzon, 88 anni, è stata la prima donna italiana a lanciarsi: era il 1952, è «atterrata» nel lago di Garda e non sapeva nuotare
Elda Garzon con la sua mascotte Charly con cui si lanciava
Elda Garzon con la sua mascotte Charly con cui si lanciava
Elda Garzon con la sua mascotte Charly con cui si lanciava
Elda Garzon con la sua mascotte Charly con cui si lanciava

Ha 88 anni (89 il 21 novembre), ma se non avesse problemi alle ginocchia si lancerebbe con il paracadute anche subito. «Ogni tanto», confessa, «telefono all'aeroporto di Boscomantico e chiedo informazioni su lanci e orari».
Sogna per qualche minuto e poi ci mette una pietra sopra per un altro anno. «I miei figli non vogliono», spiega, «perché se in fase di atterraggio si alzasse il vento e cadessi male, addio gambe. Così mi accontento di guardare gli aerei e i paracadutisti alle manifestazione o in tivù».
Il pensiero, però, non la lascia mai. Il paracadutismo è stato il primo amore della sua vita. E il primo amore, si sa, non si scorda mai. Elda Garzon, veronese, è stata la prima donna italiana a lanciarsi, finendo sui giornali nazionali, che avevano battezzata lei e le sue colleghe «amazzoni dell'aria», «ardimentose» e «audaci». Poi lei si era ulteriormente distinta per essere «una delle due sole donne italiane abilitate ai lanci pericolosi ad alta quota». «Ho fatto il primo lancio femminile in Italia autorizzato dal Ministero dell'Aeronautica: era il 1952», racconta. «A Gardone Riviera c'era una manifestazione nazionale di paracadutisti. Ci si lanciava nel lago di Garda. Sono stata scelta con la mia amica Rosanna Lancerotto, anche lei veronese: siamo decollate da Ghedi, prima mi sono buttata io e poi lei. È stato bellissimo».
Peccato, però, non sapesse nuotare. «Ci hanno fatto indossare il salvagente che dovevamo gonfiare una volta aperto il paracadute. Poi dovevamo mettere il tubicino nei passanti, stando attente a non far uscire l'aria. Ricordo che un paracadutista, vedendomi un po' scettica, mi ha detto “Se è rotto, quando arrivi a terra vai in magazzino e te lo fai cambiare”». Ma neppure la battuta sarcastica l'ha intimorita. «Tanto era l'entusiasmo di lanciarmi che non pensavo sarei caduta nell'acqua ma solo al lancio nel vuoto», racconta raggiante. «Per fortuna è andato tutto bene e una volta recuperate dal lago abbiamo ricevuto i complimenti delle autorità». Da quel momento i lanci delle donne sono diventati un'attrazione, tanto che persino la Coca Cola ha utlizzato le prime paracadutiste, lei compresa, per la pubblicità. «Una volta per vedere i paracadutisti, negli aeroporti si pagava l'ingresso», ricorda. «Dopo il primo lancio ogni settimana, a turno, noi donne abbiamo fatto lanci in tutte le città d'Italia. All'inizio ne ho fatti sette senza emergenza con il paracadute F41, poi c'è stato l'incidente a Venezia in cui è morto Salvatore Cannarozzo (detentore del record mondiale di apertura a bassa quota, morto nel 1953 dopo un lancio, ndr) ed è arrivato il paracadute d'emergenza».
E i colleghi maschi come vi hanno accolte? «Bene», risponde. «Nessun problema: anche adesso i miei amici sono quasi tutti paracadutisti».
Elda Garzon non si è fatta mancare nulla. Si è lasciata cadere da tutte le altezze, dai 280 ai 3 mila metri e da vari aerei: Savoia Marchetti 82, Fairchild, Caproni, «119». E con diversi tipi di paracadute. «Il mio preferito era il Lisi», racconta entusiasta, «la cui velocità di caduta si poteva variare aumentando o diminuendo l'apertura della calotta con una fune che si tirava con le mani e teneva con i piedi. Veniva usato in guerra per rendersi invisibili ai nemici. Bisognava aver fatto tanti lanci per riuscire ad usarlo, come l'Irving, il paracadute ad apertura ritardata. A Fano», ricorda, «usando quest'ultimo non sono riuscita a tirare la maniglia e ho dovuto azionare il paracadute d'emergenza. Poi con tutte le mie forze sono riuscita ad azionare la maniglia e finalmente si è aperto. Quando sono atterrata tutti sono accorsi spaventati: hanno controllato il paracadute e hanno visto che la maniglia aveva il filo d'acciaio arrugginito».
Di avventure Elda ne ha vissute parecchie, ma non si è mai spaventata. A Firenze il vento l'ha spostata lontana dal campo d'atterraggio. È scesa nel cortile di una caserma e i bambini che giocavano sono entrati in casa spaventati a chiamare i genitori dopo aver visto questa strana donna volante finire in mezzo a loro. «A Bolzano, invece, il vento mi ha spostata sopra un campo di mele e sono atterrata su un albero», racconta divertita. «Non riuscivo a scendere e quando sono arrivati a prendermi con la jeep avevo in mano una grossa mela rossa. E ancora a Genova», ricorda, «mi sono lanciata in mare, partendo dall'aeroporto di Albenga, solo che il giorno prima e la notte c'era stata bufera e le onde erano alte più di due metri. Ho bevuto tanta di quell'acqua... Un colpo ero sotto e un altro in alto sulle onde, finchè finalmente sono venuti in motoscafo a recuperarmi».
Trenta lanci, le interviste, l'adrenalina. Poi nel 1956 ha girato pagina. I doveri familiari, la necessità di lavorare per mantenere anche i suoi genitori che nel frattempo si erano ammalati, il matrimonio, l'arrivo dei due figli le hanno imposto di fermarsi. «I lanci erano pagati e anche gli allenamementi, ma avevo bisogno di avere un reddito», racconta. «Smettere è stata una sofferenza: mi dispiace ancora adesso. Tanto che, per tenere in vita ciò che ho provato e vissuto, ho scritto un libretto che ho consegnato al Museo dell'aeronautica Caproni di Trento». La parola paura non è mai rientrata nel suo vocabolario. «Non ne ho mai avuta. Per me “volare” era un sogno che si avverava. Il coraggio e la voglia di rifarlo li avrei ancora». Se ora l'età le ha portato qualche acciacco, non è però riuscita a toglierle l'entusiasmo e gli occhi vivi e luminosi di quando era giovane. «Lanciarsi», spiega, «è una sensazione meravigliosa: senti l'aereo che si allontana.. nel silenzio sei padrone del cielo e vorresti non finisse mai».

Chiara Tajoli

Suggerimenti