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Alberto Bighellini, vita da rifugista: «Un'orsa con il suo cucciolo ha curiosato nel rifugio»

Parla il 34enne veronese che dal 2017 gestisce il rifugio Stivo, nel Comune di Arco in Trentino
Alberto Bighellini, 34 anni, gestore del rifugio Stivo dal 2017
Alberto Bighellini, 34 anni, gestore del rifugio Stivo dal 2017
Alberto Bighellini, 34 anni, gestore del rifugio Stivo dal 2017
Alberto Bighellini, 34 anni, gestore del rifugio Stivo dal 2017

La succursale del paradiso d'estate è aperta tutti i giorni. Chiuderà fra una settimana, domenica 3 ottobre. Bisogna dunque affrettarsi, se da quassù, dal rifugio Stivo, sull'omonima montagna, si vuole ammirare l'intera sagoma del lago di Garda, il Baldo, la Lessinia, il Carega, la Pianura padana, gli Appennini, la laguna di Venezia, le Dolomiti, l'Adamello-Brenta, l'Ortles-Cevedale, tutto il Lagorai, fino alle Alpi austriache.

Ma poi Alberto Bighellini, questo barbuto san Pietro di 34 anni, nato a Verona, riaprirà le porte per i ritardatari dal 1° novembre al 1° maggio, solo dal venerdì sera alla domenica sera, e durante le feste di Natale e Capodanno, le notti di luna piena. A patto che non si annuncino bufere di neve e che il bollettino valanghe escluda segnali di pericolo dal giallo (moderato) al rosso (molto forte).Il rifugio, 27 posti letto e 72 a tavola, si trova a 2.011 metri, appena 53 sotto la sommità dello Stivo, che ne misura 2.064.

È in Comune di Arco, Trentino. In realtà ti affacci a un balcone naturale fuori dal mondo. Bighellini ne detiene le chiavi dal novembre 2017. Puoi arrivarci solo a piedi, superando un dislivello di circa 1.300 metri. Servono in media 2 ore e mezza di cammino, «però mia madre, che ha 69 anni, sale in 1 ora e 20 minuti», incoraggia il custode.

Ci sono tre accessi per arrampicarsi fino al rifugio Stivo: dal Passo Santa Barbara e dal Passo Bordala, entrambi in Val di Gresta, o da nord, da Malga Campo di Drena, nella Valle dei Laghi.Bighellini è un montanaro atipico. Si è diplomato al liceo classico Maffei e ha una laurea in lettere classiche conseguita all'Università di Verona, discutendo con la professoressa Luisa Prandi una tesi sugli iloti, gli schiavi di Sparta, nel V secolo avanti Cristo. Ma come «refugista» - lui si definisce così - ha esperienza da vendere.

Prima di approdare qui, ha lavorato nel rifugio Pian dei Fiacconi, 2.626 metri, sulla Marmolada, distrutto tre anni fa da una valanga; al Crête Sèche del Cai, 2.410 metri, sulle Alpi Pennine della Valle d'Aosta; al Passo Principe, 2.601, sul Catinaccio; al Chierego, 1.911, sul Baldo; poi di nuovo al Crête Sèche; infine al Damiano Chiesa, 2.060, sulle Prealpi Gardesane Orientali. Quindi, sommando le sei altitudini, è arrivato a 14.018 metri, oltre una volta e mezza al di sopra dell'Everest, la montagna più alta della terra. Fra un'ascensione e l'altra, un anno di sosta a 59 metri sul livello del mare, nel centro di Verona, presso il Redondo Iglesias, locale spagnolo di via Massalongo, di fronte al liceo dove ha studiato: «Ora ha chiuso per sempre, vittima collaterale del Covid-19. Rimpiango ancora le scorpacciate di ibéricos de bellota e jamón serrano gran reserva».

Bighellini è cresciuto a La Rizza di Castel d'Azzano. Lì abitano ancora i genitori pensionati, Paolo, «lavorava in ufficio alle Ferrovie dello Stato, qualche volta viene su a darmi una mano», e Annalisa Perbellini, «è stata segretaria nella ditta di mobili di suo fratello, ha messo al mondo anche Sara, la mia sorella maggiore, insegnante di italiano, storia e geografia alla scuola media di San Giovanni Lupatoto, madre di tre figli, uno più bravo dell'altro».

Torna mai a Verona?

Ogni due-tre settimane per trovare mamma e papà. Ma non ci vivrei più. Gh'è massa caldo. Vuoi mettere il rifugio Stivo? Aria frizzante, respiri bene. La fatica è ripagata dalla lettura di un buon libro davanti al fuochetto, l'ultimo I leoni di Sicilia di Stefania Auci.

Fuochetto?

Beh, quassù la massima d'estate non supera i 22, la minima è 2,5. Nel 2018 il termometro è sceso a meno 21, l'anno scorso a meno 15. Se stavo fuori due secondi, mi si congelavano le mani. Un inverno abbiamo avuto più 13, ma era una follia.

A chi appartiene il rifugio?

Alla Sat, Società alpinisti tridentini. Era chiuso da quasi tre anni. Prima lo gestiva Matteo Calzà, che è stato anche al Chierego sul Baldo.

Conosce il coro della Sat?

Non vado oltre Quel mazzolin di fiori. Conosco «Voria veder el Trentino da 'na vista propri bela, Paganella, Paganella».

Mi ricorda un proverbio meteorologico: «Se la Paganela la g'ha 'l capel, o che piove o che fa bel».

Eh, capirai, vale anche per la Marzola e la Vigolana e a Vicenza per il Grappa. Accomuna tutte le cime avvolte da nubi. Qui diciamo «Se el Stiff g'ha 'l capel» eccetera eccetera.

Chi era Prospero Marchetti, cui è intitolato il rifugio Stivo?

Un avvocato di Arco morto nel 1884, fondatore e primo presidente della Sat. La baita fu costruita a tempo di record e inaugurata il 7 ottobre 1906.

Che fretta c'era?

Il Trentino stava sotto l'Austria. Credo che gli irredentisti vedessero nel rifugio un futuro avamposto strategico. Poi infatti, durante la Grande Guerra, qui attorno sparavano.

Fate pagare la doccia calda.

Lo credo bene, manca l'acqua corrente. Dobbiamo raccogliere quella piovana nei vasi di decantazione e sanitizzarla con i raggi ultravioletti. Quest'estate c'è stata molta pioggia, ma capita che si debbano chiudere i bagni, nel qual caso gli avventori vanno a sgravarsi fuori, dietro i mughi.

E che cosa bevete?

Minerale in bottiglia. Solo che bisogna portarla su da Trento con l'elicottero della Lagorair, come tutto il resto, compresa la legna per scaldarsi.

Costi pazzeschi, suppongo.

La media è 30 euro al minuto più Iva. L'elicottero impiega 15 minuti ad arrivare e 15 a tornare. Calcoli due ore di su e giù e vedrà che cifra viene fuori.

Per l'elettricità come fa?

Pannelli fotovoltaici e gruppo elettrogeno. La lavastoviglie ciuccia tanto. Niente tv o altre diavolerie, telefonini a parte. Per fortuna qui Wind prende bene, Tim e Vodafone no.

In quanti siete?

Cinque in estate, sei-sette in inverno, quando nei fine settimana si lavora più che nel resto dell'anno. Ho messo sui social un annuncio di ricerca del personale. In poche ore sono arrivate oltre 300 candidature. Ho dissuaso un tizio che voleva trasferirsi dalla Francia. E ho rimediato qualche insulto.

Da chi?

Gente che non sa che cosa sia un rifugio. «Come porto su la valigia?, dove mi fate dormire?, quanto pagate?», erano le domande ricorrenti. Mi sono preso dello schiavista.

Addirittura.

Sembrano tanti, quelli che vomitano cattiverie davanti al pc. In realtà, sono pochissimi. Anzi, sono nessuno.

Chi c'è in cucina?

Uno chef bravissimo, Alessandro Bonizzato. Viene da Alpo. Però ai primi di novembre mi scappa via: va a fare il giro dell'Islanda in bici.

Come lo rimpiazzerà?

Il menu è semplice. Con pasta e polenta so cavarmela.

Ha svolto altri lavori?

Montavo mobili nell'azienda di mio zio. Sono stato educatore in doposcuola e centri estivi del Comune di Castel d'Azzano. Ho fatto consegne a domicilio per Isola della Pizza di piazza Isolo, ora a Dossobuono: andavo in giro per Verona di sera, sotto la pioggia .

Pensa che il rifugio le darà da vivere per sempre?

Chissà. Le spese sono enormi. Finché non nascono i figli...

È sposato?

Felicemente single.

Ha la fidanzata?

No. Ho avuto tre relazioni serie, tutte finite bene, tant'è che sono appena stato al matrimonio dell'ultima morosa. Ma no ho ancora catà quela giusta.

Non le pesa la solitudine?

Quando si fa sentire, mettiamo su un risottino e beven 'na bozza de vin. La domenica c'è più gente qui che in piazza Erbe. Mi tiene compagnia il mio cane Barto, un meticcio di 3 anni e mezzo che ha dentro dieci razze diverse, un po' bassotto, un po' pitbull, un po' pastore tedesco. L'ho tirato su dalla strada in Sicilia, grazie alla onlus Cuccioli dell'Etna.

Non ha paura a stare da solo?

No, è bellissimo. Magari hai la ciccia nello zaino, senti un rumore nel bosco e te la fai sotto, ma poi scopri che era solo uno scoiattolo. Venivo su anche durante la pandemia a controllare che i topi non entrassero nel rifugio.

I topi a 2.011 metri?

Tutte le Alpi sono state invase dai topi, due anni fa. Ho chiesto a un esperto. Si tratta di un fenomeno periodico legato alla pasciona, l'abbondante produzione agricola. I faggi lasciano cadere i loro frutti, detti faggiole, la neve li copre, i topi se ne stanno al riparo lì sotto, mangiano a crepapelle e si riproducono in modo incontrollato. La gatta Minù ne faceva fuori una decina al giorno.

Ha mai visto i lupi?

Uno, al Passo Bordala. Ce ne sono meno che in Lessinia.

E gli orsi?

No, però ho trovato le impronte delle zampe di un'orsa e del suo cucciolo sui vetri di una finestra. Sono venuti a curiosavare nel rifugio. Per il resto, camosci, daini, caprioli, aquile, civette, pernici bianche.

Bipedi famosi?

Sono arrivati Virginia Raggi, l'ex sindaca di Roma, e Nicola Balestri detto Ballo, ex bassista dei Lunapop.

E se qualcuno si sente male?

C'è il defibrillatore: so usarlo, ho fatto il corso. Nei casi gravi chiamo l'elicottero.

Come giudica la situazione dei suoi coetanei oggi in Italia?

Esci dalla scuola con l'idea di fare chissà che e invece non puoi fare nulla. Mi vedevo insegnante precario a 50 anni. Ho preferito i rifugi. Di giovani senza testa finora ne ho incontrati davvero pochi.

Web e social li hanno trasformati da persone in terminali.

È così. Serve uno sforzo titanico per separarsi dallo smartphone. Ha un potere enorme. È una droga. Ma anche uno strumento di lavoro, per me. Come avrei potuto far conoscere lo Stivo senza i social?

Quale peso hanno nella sua vita i soldi?

Detesto l'insincerità: contano. Ma non sono tutto. Servono il giusto per vivere. Di quelli in più non me ne frega nulla, non saprei che farmene.

Ha avuto qualche maestro a guidarla?

Tutti i gestori dei rifugi che mi hanno accolto. Ho imparato un sacco di cose da loro. E poi il professor Gian Nello Rossetti, mio insegnante di greco e latino al liceo Maffei. Gli devo davvero tantissimo.

Che cosa sente di notte quando va a letto?

Il vento e lo scricchiolio delle pareti in legno del rifugio. Il rumore del silenzio, insomma.

Stefano Lorenzetto

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