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Mezzane

Micheloni, l'ingegnere veronese che divulgò il futurismo con Marinetti

di Stefano Caniato
Semi sconosciuto nella vallata dove nacque, Mezzane, il tecnico lavorò a Milano: il nipote è il custode della sua memoria e delle sue opere
Ruggiero Ferdinando Micheloni e una dedica a lui da parte di Marinetti
Ruggiero Ferdinando Micheloni e una dedica a lui da parte di Marinetti
Ruggiero Ferdinando Micheloni e una dedica a lui da parte di Marinetti
Ruggiero Ferdinando Micheloni e una dedica a lui da parte di Marinetti

Tanto illustre a Milano, dove morì nel 1981, quanto sconosciuto tutt’oggi - a Mezzane - dove nacque nel 1888. Eppure Ruggiero Ferdinando Micheloni, pluridecorato per «lo sprezzo del pericolo», combatté in tre conflitti (Libia, Prima e Seconda guerra mondiale) e fu uno degli ingegneri che aderì al Futurismo, movimento capitanato da Filippo Tommaso Marinetti.

«Difatti il suo motto quotidiano era: la vita comincia domani. Un innovatore, instancabile», riferisce l’ingegnere e architetto Angelo Fugazza, dell’omonimo studio di Milano, nipote di Micheloni col quale lavorò ad inizio carriera. «A 90 anni rivedeva ancora i progetti. Tra le commissioni che ricevemmo, le ciminiere di grandi gruppi industriali, quali la Montedison», aggiunge Fugazza.

Le lettere

Il mezzanese conobbe Marinetti in Libia, quando l’Italia pretendeva la Tripolitania e la Cirenaica dalla Turchia. «Lo scambio di corrispondenza tra i due fu intensissimo», racconta il nipote che custodisce lettere e libri autografati. «Orfano di entrambi i genitori appena bambino, Micheloni si istruì prima dai Salesiani a Verona e poi diventò ingegnere alla Regia Scuola di Bologna», ricorda il professor Francesco Lensi, dell’Università di Firenze, nella propria biografia sul mezzanese. La rapidità anche delle azioni belliche avrebbe affrettato i cambiamenti sociali. Era il Futurismo. Smobilitato l’esercito terminata la Prima guerra mondiale contro gli austriaci, dai quali fuggì due volte dopo altrettante catture, Micheloni si stabilì in Sardegna, al Genio dell’Aeronautica militare. C’erano nuove tecnologie da sviluppare.

I dettami del rivoluzionario movimento di Marinetti imponevano di fabbricare con ogni conoscenza della scienza e della tecnica. Micheloni, negli anni Trenta, stampò la raccolta «Dimostrazione scientifica del Futurismo», apprezzata da Marinetti, in cui sostenne che la velocità fosse uno dei presupposti dell’evoluzione delle specie. «Un moto elicoidale», insistette il mezzanese, «ci fece camminare, poiché ci fu una rotazione uniforme attorno alla perpendicolare dell’uomo con il suolo e ad una traslazione altrettanto costante dell’uomo sull’asse stesso. Fu così che ci alzammo sulle gambe».

Scuola di talenti

Prima di Micheloni, la Regia Scuola di Bologna fu frequentata da Pierluigi Nervi, l’architetto che disegnò l’alloggio girevole che «avrebbe liberato le abitazioni dalla schiavitù dell’immobilità». L’edificio, però, non fu costruito, a differenza della villa che roteava seguendo lo spostamento del sole dell’ingegnere Angelo Invernizzi, a San Martino Buon Albergo. Invernizzi concretizzò le utopie adeguandole alle vita dell’uomo. All’epoca si realizzavano, in prevalenza, sanatori per curare tubercolosi, rachitismo e depressione. Poichè gli stabili erano fermi sul posto, si calcolava la traiettoria dei raggi del sole che avrebbero rinvigorito il corpo. Invernizzi, invece, rincorse con la propria casa, grazie a motori e binari, direttamente il sole.

Prigioniero

Durante la Seconda guerra mondiale, Micheloni fu reclutato di nuovo nel Genio dell’Aeronautica militare. Dopo l’Armistizio, fu deportato in un campo di prigionia in Germania perché non si aggregò, diversamente da Marinetti, ai nazifascisti della Repubblica di Salò. Liberato dagli Alleati, il mezzanese si trasferì a Milano, dove si sposò e si dedicò alla sua professione. «Non rinunciò alla produzione letteraria: un volumetto pre-politico rimarcò le sue idee futuriste», osserva Fugazza. Tra le sue opere, il velodromo allo stadio di Varese. La pista per il ciclismo fu collocata tra l’anello del podismo e gli spalti. Venne utilizzato il cemento, uno dei materiali avveniristici. «Le giunture, cui fu prestata particolare attenzione, regolavano le dilatazioni dell’impianto, fu maestria», puntualizza il nipote. D’altronde, il Futurismo era dinamico, non statico.

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