Hanno visto la morte in faccia

Ospedale di San Bonifacio: tuta, guanti, mascherina e visiera per proteggersi dal pericolo di contagioPietro Madera: guida l'Unità operativa di psicologia ospedaliera

re vite alla morte e dove decine di persone hanno vissuto una esperienza umana, prima ancora che professionale, in una imposta «aridità umana, sterile come le tute». SONO LE FRASI con cui Pietro Madera, medico psicologo che guida l'Unità operativa semplice di psicologia ospedaliera, racconta l'impatto dell'emergenza su medici, infermireri, operatori socio sanitari. Lo fa da coordinatore dell'equipe psicologica che è stata approntata per l'emergenza Covid-19 e che dal 23 marzo all'8 maggio si è attivata per garantire quel sostegno psicologico «che ha di fatto impedito che molte situazioni di disagio diventassero patologie». Per farlo si sono messi insieme, volontariamente, Antonia Ballottin (Spisal), Maria Elena Bertani (dipartimento salute mentale), Silvia Libianchi (neuropsichiatria infantile), Alessia Mai (riabilitazione), Gloria Massironi e Francesca Sala (Centro decadimento cognitivo e demenze), Sebastiano Zanetti (oncologia) e hanno lavorato su più fronti, con gli operatori sanitari in orario di servizio ma anche con i familiari dei pazienti Covid positivi ricoverati a Marzana, ospedale a cui è stata estesa questa «rete» di sostegno. «Quasi da un giorno all'altro l'ospedale di San Bonifacio è diventato un presidio Covid: dal pronto soccorso alla medicina, dalla Covid-week alla chirurgia, progressivamente e per piccoli gruppi la vita ordinaria di reparto degli operatori è stata catapultata in un contesto e in un ambiente fino a due-tre mesi fa sconosciuto e non prevedibile. C'era la paura di rimanere contagiati, alla quale si sommava l'enorme sforzo anche sul piano organizzativo: c'erano gli attacchi di panico, il terrore del proprio lavoro, l'ansia. È servito un grande lavoro di alleggerimento emotivo», spiega Madera, «quello svuotamento, comandato dalla psicologia dell'emergenza, prima di tornare a casa». A QUESTO PRIMO approccio sono seguiti incontri di supporto individuale, la realizzazione di audio di rilassamento, il supporto telefonico ai sanitari e ai familiati: «C'era un'esperienza sconvolgente da affrontare, lo sbigottimento, la paura del contagio e quella di poterne essere vettore coi propri affetti, la perdita del fondamentale rapporto con i pazienti, la castrazione dell'umanità nelle relazioni, lo stress lavorativo che può minare la salute. Tanti pianti, l'essere faccia a faccia con chi ha affrontato la morte in solitudine, hanno lasciato segni profondi», spiega il medico. Esperienze, anche quelle legate al rientro al lavoro dopo aver vinto sulla propria pelle la battaglia contro il Covid-19, che hanno tolto il sonno, scatenato ansie e paure, depressione, il rigetto del posto di lavoro, i sensi di colpa, «e si è lavorato per aumentare il controllo e ridurre derive psicopatologiche, per evitare che l'ansia diventasse angoscia». Vissuti al limite, «che incanalati correttamente hanno fatto riscoprire un forte spirito di solidarietà, di appartenenza, che hanno messo energie al servizio della vita e creato nuove risorse positive nel far tesoro di essere riusciti a superare qualcosa che non aveva precedenti». Il percorso non è, tuttavia, concluso: «Ora l'insidia è rappresentata dal calo dell'adrenalina, dalla decompressione: due psichiatri e sei psicologi si sono per questo resi disponibili volontariamente per il supporto psicologico telefonico». «PER TUTTI», conclude Madera, «possono tornare utili i due audio di rilassamento (che proponiamo anche sul sito www.larena.it, ndr), che l'equipe ha realizzato, e che sono a disposizione anche della popolazione. Basta solo chiederne l'invio inviando una mail a psicologia.ospedaliera@aulss9.veneto.it». • (...)

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