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La storia

Il postino Giulio, 30 anni in divisa su e giù per Soave. «Quella volta che ho sventato una truffa...»

Zermiani, 89 anni, ha consegnato posta in bicicletta dal 1960 al 1990
Giulio Zermiani quando consegnava la posta in divisa in bicicletta
Giulio Zermiani quando consegnava la posta in divisa in bicicletta
Giulio Zermiani quando consegnava la posta in divisa in bicicletta
Giulio Zermiani quando consegnava la posta in divisa in bicicletta

Quando i postini erano un’istituzione indossavano la divisa, scalavano colli in bicicletta, aiutavano chi si trovava isolato socialmente e avevano il senso di appartenenza a una comunità. Giulio Zermiani, che ha da poco compiuto 89 anni, incarna proprio questo.

È stato il portalettere della zona 4 di Soave (San Lorenzo, San Giorgio, Borgo Covergnino) per 30 anni, dall’agosto 1960 al primo ottobre 1990, quasi sempre in bicicletta. Zermiani, detto Giulietto, è la memoria storica del servizio postale a Soave. La sua era una famiglia di postini: lo zio paterno, Pellegrino Zermiani, fu portalettere dall’ultimo dopoguerra fino agli anni Cinquanta. La zia paterna, Rita Zermiani, è stata postina negli anni Sessanta e Settanta. Giulietto, seconda generazione di portalettere, venne assunto come sostituto e poi provvisorio. Nel 1972 gli venne assegnata la quarta zona e firmò il contratto da agente portalettere, «Il che significava indossare la divisa, come i pubblici ufficiali», rammenta Giulio Zermiani, che ha svolto anche l’incarico di «procaccia», ossia caricare il carretto di pacchi postali, corrispondenza e valori da portare alla stazione del trenino che costeggiava la statale 11. «Era in viale della Vittoria e qui prelevavo anche la corrispondenza che arrivava per i soavesi».

«All’epoca arrivava tutto per posta», sottolinea Zermiani, «quando ricevevano le lettere di precetto per il servizio militare, le mamme mi dicevano “finalmente si farà uomo mio figlio” e mentre firmavano la raccomandata piangevano. E i referti medici, ricordo volti impallidire». «Negli anni Sessanta le cartoline erano spesso senza francobollo, dovevo chiedere se l’accettavano perché la tassa era a carico del destinatario, c’era qualche vedova che mi attendeva per bere il caffè in compagnia».

 

Postino detective

Una volta ha anche sventato una truffa. «Un’anziana alla quale recapitavo a casa la pensione, mi confessò che c’era un uomo povero che le faceva pena e che le chiedeva soldi quando arrivava la pensione. Mi disse anche la cifra che gli versava», ricorda Zermiani. «Non ci ho visto chiaro. Così ho avvertito il nipote, il quale si fece fare la delega per ritirare la pensione, così l’anziana non fu più derubata».

Zermiani ha iniziato a lavorare nel primo ufficio postale soavese, in via Roma, di fronte alla Trattoria da Amedeo, dove oggi c’è il negozio di ottica. Da lì l’ufficio postale si spostò in corso Vittorio Emanuele II, di fronte al supermercato Dalli Cani, dove ora c’è il panificio. Infine in via Manzoni, dove si trova attualmente. Al suo arrivo, lavoravano solo due portalettere: lo zio Pellegrino e Berto Ferro. Negli anni Sessanta c’erano poco più di 5 mila abitanti, col tempo vennero fatte le revisioni mano a mano che si costruirono i quartieri residenziali (dei Poeti, dei Musicisti, Sant’Antonio) e si ampliò la zona industriale di Castelletto.

Giulietto Zermiani ricorda con affetto il direttore di lunga data dell’ufficio, Giorgio Hubacech, il sindacalista dei postini Angelo Benedetti e tanti colleghi che da lui hanno imparato il mestiere. «All’epoca non c’erano cassette postali e dovevo salire piani di scale tutti i giorni perché lettere e le riviste non andassero perse o rubate», ricorda ancora. Così Zermiani, con il direttore e i sindaci del tempo (Giorgio Magrinelli e Bruno Gilioli) fece una campagna di informazione tra i residenti affinché collocassero fuori dalle case le cassette delle lettere.

Zeno Martini

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