Dopo il trionfo alla Mostra del cinema di Venezia, dove si è aggiudicato il leone d’argento per la miglior regia, e una proiezione speciale per Papa Francesco in Vaticano, Matteo Garrone ha fatto tappa a Verona per incontrare il pubblico al cinema K2 e parlare del suo ultimo film «Io capitano», che racconta la vicenda di due giovani migranti senegalesi, Seydou e Moussa, che cercano di raggiungere l’Europa partendo dalla loro terra.
La trama li segue nel loro viaggio attraverso il deserto, i centri di detenzione in Libia e la traversata nel mar Mediterraneo, fino all’arrivo in Italia. «È questa l’Odissea del presente», ha ribadito Garrone, «e i migranti sono i portatori dell’epica contemporanea».
Garrone, da dove è arrivato l’input per realizzare questo film?
«C’è una parte sconosciuta della migrazione a cui serviva dare una forma visiva. L’idea è che lo spettatore, abituato ad affrontare il tema dal punto di vista occidentale, a guardare i barconi che arrivano e i migranti che a volte vengono salvati, e a volte no, possa invece vivere questo viaggio in soggettiva».
Viaggio del quale televisioni e giornali ci restituiscono in questi giorni tutta la drammaticità, con le immagini che arrivano dall’isola di Lampedusa a dieci anni dalla visita di Papa Francesco, che allora denunciò la «globalizzazione dell’indifferenza».
La migrazione è il tema più serio e drammatico della nostra epoca. Papa Francesco me lo ha detto usando queste parole e credo che anche per questo motivo ci abbia accolti in Vaticano e abbia sostenuto il film. Lui è sempre stato vicino ai migranti, forse perché, come ci ha raccontato, anche i suoi genitori lo erano. È un tematica che lo preoccupa molto. In tutti i suoi discorsi tenta di dare voce a chi non ce l’ha e anche noi abbiamo cercato di farlo, raccontando queste esperienze attraverso gli occhi di chi le vive.
Non è facile raccontarle senza tentare di dare spiegazioni a tutti i motivi per cui una persona decide di partire.
C’è chi migra per disperazione, a causa della guerra o di condizioni ambientali sfavorevoli. Ma c’è anche chi lo fa perché è giovane, povero sì, ma di una povertà dignitosa (come nel caso dei protagonisti della pellicola, ndr) e ha voglia di conoscere l’Occidente sul quale ha una finestra costantemente aperta grazie all’uso dei social network. Magari desidera cercare opportunità migliori, per poi tornare dalla propria famiglia.
Il film «Io capitano» parla di ingiustizia e di violazione dei diritti umani con realismo e rispetto e grande attenzione ai dettagli. Qualcuno ha detto che dovrebbe essere proiettata nelle scuole.
Mi piacerebbe. I ragazzi potrebbero identificarsi con i giovani protagonisti, partecipare emotivamente alla loro odissea e sensibilizzarsi rispetto a cose che danno per scontate, come il fatto di poter viaggiare liberamente e senza rischiare la vita.