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UN SECOLO SULL’ADIGE

La diga del Chievo da cento anni a guardia della città

La grande struttura costruita tra il 1920 e il ’23 costituì di fatto lo spartiacque tra la città di stampo contadino e la Verona industriale moderna
DIGA DEL CHIEVO STORY

1923 – 2023, la diga del Chievo compie cent’anni. Un compleanno importante, che racconta la nostra storia. Scorrendo a ritroso le acque dell’Adige passate sotto queste arcate nell’ultimo secolo, ritroviamo una Verona assai diversa da quella odierna, ma anche con molti punti di contatto: tante questioni aperte e soluzioni da trovare, allora come ora, in tema di energia, sviluppo, occupazione… Oggi le iniziative per festeggiare il centenario saranno presentate dai vertici del Comune, dell’Agsm Aim e del Consorzio Canale Camuzzoni. 

Nel frattempo, cerchiamo di fare un salto indietro nel tempo e rivivere, almeno un po’, la «Verona anni Venti»: città fra le due guerre, città ancora perlopiù agricola, città che ha subito una forte emorragia di abitanti, espatriati nella speranza di sfuggire alla miseria (quasi 50mila in «Merica» e altri 40mila in Paesi europei tra il 1870 e 1900). Città che, però, proprio fra gli anni Venti e Trenta, getta le basi della «Grande Verona». È in questo periodo infatti che, per dare energia alle prime vere fabbriche nella «zai» di Basso Acquar (dove c’è anche l’officina elettrica comunale), sorge la «diga del Ceo»: un simbolo, un chiaro riferimento geografico per qualsiasi veronese, e soprattutto lo spartiacque – letteralmente – fra la Verona contadina e la Verona di ambizione industriale. 

Congiunture

Per quelle strane congiunture che in poco tempo riordinano tessere rimaste a lungo sparpagliate, nei primi decenni del Novecento la città si trova al centro di un fermento che è politico, economico e culturale, nonostante il montare del regime fascista. Per le strade si possono incontrare concittadini illustri, destinati a finire nella toponomastica cittadina.

Alcuni: Berto Barbarani e Angelo Dall’Oca Bianca, intenti a ritrarre Verona in versi e su tela, il critico teatrale e regista Renato Simoni (ormai più di casa a Milano, in realtà); ma anche personaggi del calibro di Arnoldo Mondadori, che da Ostiglia è venuto qui a fondare la sua casa editrice, divenuta in seguito impero editoriale: Gabriele D’Annunzio viene a visitarla nel 1927. Intanto, in Curia, il vescovo Bartolomeo Bacilieri passa il testimone a Gerolamo Cardinale (1923), mentre in Municipio il socialista Albano Pontedera è già stato sostituito da Vittorio Raffaldi (1922), che inaugura la schiera dei podestà fascisti. 

A proposito, scrive Giorgio Massignan, architetto, ambientalista, e già assessore alla Pianificazione urbanistica: «Fu in quegli anni, tra il 1920 e gran parte del 1930, che la città contemporanea mise le sue radici. Il “piccone risanatore fascista“, in nome del decoro e della pulizia, sventrò e demolì interi isolati ritenuti vecchi, fatiscenti e non recuperabili, cancellando anni di cultura e di memoria. Ma si costruirono anche edifici ad uso produttivo. Nel 1922 si inaugurò la nuova stazione ferroviaria di Verona-Porta Nuova che, per importanza, sostituì quella di Porta Vescovo». 

Cantieri

I cantieri della diga del Chievo iniziano nel 1920, proseguendo in varie fasi, documentate dal fotografo Gustavo Alfredo Bressanini: in fondo alle otto arcate, viene creata una conca che minimizza il diverso livello delle acque, così da consentire la navigazione fluviale, ancora praticata. 

E finalmente: «Nel 1923 avvenne l'inaugurazione. La funzione dell'opera era, ed è, quella di immettere una maggiore quantità d’acqua dell’Adige nel canale Camuzzoni (risalente al 1885 ma fino ad allora sottoutilizzato) e aumentare in tal modo la produzione di energia elettrica». La costruzione, realizzata in calcestruzzo e acciaio, è stata finanziata da un consorzio formato dal Comune di Verona e da alcune realtà industriali dell’epoca: le Cartiere Fedrigoni, i Mulini Consolaro e il Cotonificio Veneziano.

Il progetto è firmato dall’ingegnere Gaetano Rubinelli, segretario del consorzio stesso. La diga garantisce un flusso costante al Camuzzoni (intitolato a Giulio, sindaco illuminato sul finire dell’Ottocento e suo promotore), la cui portata massima è stata aumentata fino a cento metri cubi al secondo.

Cambia l’economia di Verona

La nuova classe operaia scaligera, di lì breve, troverà occupazione anche in altri grossi stabilimenti: dai Magazzini Generali (1924) alla più grande stazione frigorifera specializzata d’Europa (1931). Il 25 aprile 1945 la diga viene gravemente danneggiata dai soldati tedeschi che si stanno ritirando. Per fortuna, in quel momento a Verona lavora un altro personaggio illuminato, il soprintendente Piero Gazzola, e la diga viene presto ricostruita. 

E oggi? L’Agsm e il Consorzio Camuzzoni hanno inaugurato, nel 2009, la nuova centrale idroelettrica alla diga del Chievo. Realizzata con un investimento di 8,5 milioni di euro, ogni anno fornisce energia a 2.500 famiglie, con una potenza installata pari a 1,55 megawatt. «L’energia tratta dall’acqua è stata motore per le attività veronesi fin dal tempo degli Scaligeri, ed è ancora importante», dice Massignan, concludendo la galoppata storica con una riflessione di attualità, «Oggi, però, ci sono altre grandi sfide da affrontare: la carenza d’acqua, soprattutto, e l’impatto che questo tipo di impianti rischia di avere su una natura fluviale più fragile rispetto al passato». 

Lorenza Costantino

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