La notizia è arrivata a colorare di fiducia uno scenario - dipinto in tutta la sua criticità dal presidente dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri Carlo Rugiu - «nero, per non dire drammatico».
La sanità è in ginocchio e, «se nulla cambia, così non ha futuro». L’Università di Verona ci prova a fare la sua parte. Davanti alla platea dei 148 neo-laureati emozionati nel fare il Giuramento di Ippocrate e dei 41 colleghi anziani che festeggiano i 50 anni dalla laurea, il professor Cristiano Fava intervenuto in rappresentanza del rettore Nocini alla «Giornata del medico e dell’odontoiatra» ieri (18 novembre) in Gran Guardia, ha annunciato la novità: «Il prossimo anno accademico partirà nel nostro ateneo con un nuovo corso, quello di “Medicina ad indirizzo ingegneristico“. È una sfida a cui lavoriamo da tempo, un progetto in cui crediamo fortemente».
A Verona i medici del futuro
«È la risposta», ha spiegato Fava, «alla necessità di avere medici più tecnologici di quelli che escono dai sei anni “standard“.
Le prime 60 matricole debutteranno, se tutto va come previsto, nel 2024/2025. Formeremo medici con competenze nell’intelligenza artificiale, nella robotica e nella sensoristica».
Come dire: se la professione sta perdendo il suo appeal, tanto che gli ultimi bandi per le borse di specializzazione al Policlinico sono andati per la metà deserti, rendiamola più accattivante. Rinnoviamo la formazione. Ma non basta.
I problemi irrisolti
«Non basta perché», ha spiegato Rugiu alle autorità cittadine intervenute insieme a migliaia di cittadini (dal vescovo Domenico Pompili, alle assessore comunali La Paglia e Ceni), «negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una catena di “smontaggio“ della professione più che ad una corsa agli investimenti. Tutti gli ultimi 13 governi non hanno fatto nulla, in concreto, per evitare la condanna del sistema sanitario nazionale. E continuano a colpire una categoria che in tempo di Covid era benedetta ma che, passata l’emergenza, è tornata ad essere maltrattata: l’ultimo scherzetto è arrivato con la proposta di tagliare le pensioni a tanti di noi, con il risultato che chi può, per la fine dell’anno, lascia. L’emorragia di camici bianchi dagli ospedali è inarrestabile. Chi curerà la gente, tra l’altro sempre più vecchia e pluripatologica?».

Ssn in agonia
«L’invecchiamento della popolazione», continua il dottor Rugiu, «richiede sempre più terapie croniche ambulatoriali, assistenza domiciliare capillare e presa in carico multidisciplinare. Solo che il Ssn, sottofinanziato da oltre vent’anni, non riesce a garantire ciò che prescrive: oggi il 50% delle visite specialistiche e il 30% degli accertamenti diagnostici i pazienti se li pagano privatamente».
In media, ogni anno, ogni italiano spende 700 euro per visite ed esami: chi non può, non si cura. «Ci sono 4 milioni di persone», snocciola i numeri Rugiu, «che rinunciano a farlo perché non possono permetterselo».
Medici merce rara
Dall’altra parte c’è il medico che esercita in condizioni di lavoro disagiate, accentuate da una mole di carichi burocratici e dall’aumento della conflittualità coi pazienti, senza prospettive di carriera. «Questi fattori», ha evidenziato Rugiu, «fanno sì che la scuola di medicina risulti meno attrattiva. A Verona su 746 borse di specialità, solo 399 sono state assegnate. Il restante 43% è rimasto scoperto con grandi criticità nelle are di anestesia-rianimazione, emergenza-urgenza, medicina interna, chirurgia».
All’appello mancano in Italia 20.000 medici. «Aggiungiamo che il Governo vuole ridurre le aliquote di rendimento dei contributi versati prima del 1996, colpendo il 50% dei colleghi in servizio con un taglio della pensione fra il 5 e il 25%: significa la perdita immediata, ad esempio, di oltre un migliaio di anestesisti e medici di pronto soccorso».
Quindi? «Chiediamo un finanziamento consistente e duraturo del Sistema sanitario. È indispensabile che tutto il personale venga rimotivato attraverso una profonda riforma del sistema, abolendo disorganizzazione, farmaci ed esami inutili, puntando seriamente sulla digitalizzazione e riducendo il carico burocratico», ha concluso Rugiu.