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Il batterio killer in ospedale

Sette indagati per il citrobacter, le mamme: «Finalmente! Ma tanto dolore si poteva evitare»

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Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Francesca Frezza con la foto della figlia Nina

«Finalmente». «Finalmente». «Fi-nal-men-te». Non smettono di ripeterlo. «Quasi non ci speravamo più, temevamo di non leggere mai quei nomi sul fascicolo degli indagati. E’ un giorno importante, lo aspettavamo da anni». E' la reazione di Francesca Frezza e di Elisa Bettini, mamme rispettivamente di Nina e di Alice morte a pochi mesi di vita, dopo tanta sofferenza, in seguito all'infezione da Citrobacter contratta nella Terapia Intensiva Neonatale dell'ospedale della Donna e del Bambino di Verona: la prima nel novembre del 2019, la seconda nell’agosto del 2020. Con loro ci sono anche Leonardo (deceduto nel 2018), Tommaso (nel 2020) e un'altra bimba di origini pakistane (nel 2019).

La tragica «conta» non si ferma qui, ci sono altri neonati contagiati ma sopravvissuti al batterio - per gli ispettori ministeriali nel complesso oltre un centinaio - di cui 9 con danni cerebrali irrecuperabili: c'è Benedetta che non cammina e mai lo potrà fare, c'è Jacopo che è stato operato più volte alla testa, c'è chi ha pure i reni rovinati, chi ha l’idrocefalo e chi difficoltà neurologiche. «E cos’è tutto questo? E’ dolore, tanto dolore che poteva essere risparmiato ai nostri bambini e a noi», sbotta Francesca, «bastava poco, pochissimo per evitare il disastro, umano e professionale, che ha marchiato il più grande punto nascite del Veneto. Bastava», ricorda la mamma di Nina che per prima ha denunciato facendo partire l’inchiesta della Procura scaligera nel 2020, «bastava che al primo caso si intervenisse, bastava che quando nel luglio del 2019 sono scappata al Gaslini di Genova per dare a mia figlia una morte dignitosa e ho raccontato a L’Arena il mio calvario rendendo pubblico quello che avevo visto con i miei occhi dentro alla Tin, si affrontasse la situazione invece che “gestirla“ con leggerezza, aspettando che le cose si sistemassero da sole, confidando nel destino. Sono morti dei bambini lì dentro», si commuove, «e altri hanno l’esistenza rovinata per sempre. Quel che è grave è che hanno provato a negare l’evidenza fino a quando, di fronte all’evidenza, non è stato più possibile».

E ammette: «Sì, finalmente con questi 7 indagati i nostri angeli cominciano ad avere un po’ di giustizia. Il sacrificio di Nina, di Alice e degli altri piccoli deve servire ad evitare che accada ancora: sono convinta che se l’ospedale avesse da subito affrontato il problema senza farlo con anni di ritardo, arrivando a dover chiudere la Maternità perchè tra morti e contagiati era scoppiata una pandemia incontrollabile da Citrobacter, ora non saremmo qui noi a fare i conti per tutta la vita con la perdita delle nostre creature e loro, quelli che la Procura ha individuato a vario titolo come i responsabili, a rispondere del loro mal-operato».

Quel batterio in ospedale non ci doveva essere, è la sintesi della relazione degli ispettori sanitari mandati da Roma, soprattutto in un reparto delicato e di massima fragilità come è una rianimazione neonatale. E se proprio c’è entrato doveva scattare in fretta la «governance» da parte dei vertici dell’azienda per mettere in atto le azioni di contenimento e miglioramento. «Invece niente di tutto questo è accaduto, purtroppo», ricorda Elisa, mamma di Alice, l’ultima vittima in ordine di tempo (agosto 2020), «la mia bimba si è infettata un anno dopo Nina, quindi il batterio nella rianimazione neonatale era ancora lì e ha avuto tutto il tempo per colpire due, tre, dieci, venti fino a cento e più volte, creando un effetto domino che è diventato esplosivo e che non è stato più possibile arginare. Sono 113 i contagiati, noi mamme lo sappiamo, ci siamo contate...».

Elisa oltre al dolore disumano per la perdita di Alice ha anche quello provocato «da chi in reparto sapeva e non mi ha detto nulla, addirittura ha raccontato bugie». E spiega: «Erano consapevoli di avere l’ospite killer tra le culle eppure a me, a precisa domanda, hanno risposto con le bugie. E questo non lo perdonerò mai, non solo ai 7 indagati ma a tutti gli altri che hanno avuto un ruolo in questa tragedia: ci sono infermieri ed infermiere, sapevano e hanno scelto di non parlare. Bastava una parola per salvare Alice».

E’ disarmante Elisa nella compostezza con cui ricostruisce il calvario della sua creatura, «lei era nata sana a Peschiera, solo un po’ piccolina, per cui l’hanno trasferita in città, alla Donna e Bambino: è entrata sana, è uscita senza cervello mangiato dal batterio, fino alla morte. Quando abbiamo chiesto, avendo sentito parlare di questa infezione, se c’erano stati dei casi, mi è stato detto di no, assolutamente no. Le bugie, perfino le bugie hanno avuto il coraggio di dirmi sperando di coprire quello che avevano fatto». Le battagliere mamme di Nina e di Alice, quelle che sono andate sui giornali e sulle Tv di tutta Italia a raccontare questa drammatica storia, che si sono appostate fuori dall’ospedale di Borgo Trento per chiedere giustizia (Francesca con la foto di sua figlia devastata dal Citrobacter) ieri hanno continuato a ripeterlo: «Finalmente, finalmente, finalmente questo giorno è arrivato. Non è stato un incidente, una tragica probabilità da mettere in preventivo perché le infezioni dentro agli ospedali circolano più che fuori, si sa, ma qui si è attivata una “catena di montaggio“ della malasanità che se noi non avessimo denunciato avrebbe raggiunto lo scopo: nascondere la realtà, far passare per morti “normali“ quelle che invece, per i magistrati, sono degli omicidi. Insomma, tutti gli attori coinvolti hanno adottato comportamenti gravi che hanno portato, per gli inquirenti, alle indagini per omicidio colposo plurimo e lesioni gravi e gravissime. Bastava poco, pochissimo», ripetono continuamente anche questo, «perché non succedesse».

E con la voce rotta: «La sofferenza delle nostre figlie e degli altri piccoli che se ne sono andati tra dolori indicibili, spegnendosi tra le braccia di noi genitori rimasti ora a leccarci le ferite, nessuno la può ripagare. Non c’è giustizia che ci ridarà i nostri figli, nulla per noi è come prima. Ma chi ha delle responsabilità - e finalmente ora con questi 7 indagati verranno accertate - è giusto che paghi. La punizione ci deve essere, perché ci sono state delle colpe. E noi combatteremo fino all’ultimo respiro perché non accada più, non solo a Verona, ma in tutti gli ospedali d’Italia».

Camilla Ferro

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