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Pesanti carenze a Verona

Sempre meno medici al Pronto Soccorso, è allarme: «La prima linea è sguarnita»

L'ingresso del Pronto Soccorso di Borgo Roma
L'ingresso del Pronto Soccorso di Borgo Roma
L'ingresso del Pronto Soccorso di Borgo Roma
L'ingresso del Pronto Soccorso di Borgo Roma

Mestiere ambito e motivo d’orgoglio un tempo, ora non più. Troppo stress, troppe responsabilità da affrontare in pochi, stipendi fermi da dieci anni e un fiume di burocrazia che allontana dalla cura del paziente. «Se al mondo rimanesse un solo medico», si dice nelle corsie degli ospedali, «non sarebbe un cardiologo, né un ortopedico, né un chirurgo. Sarebbe un medico d’urgenza».

Eppure anche questo baluardo della sanità sta crollando. A Verona mancano 18 medici nei Pronto soccorso, di cui un paio tra gli ospedali di Borgo Trento e di Borgo Roma, dove sono arrivati due nuovi dottori, ma in part-time, e a settembre se ne andrà un altro. È di pochi giorni la notizia delle dimissioni del primario del Ps cinquantenne dell’ospedale di Vicenza. Dal fronte dei dottori di famiglia a quelli ospedalieri, dunque, non c’è ambito della medicina che non risenta di un fenomeno epocale, quanto predetto ben dieci anni fa: mancano medici. E le prospettive non sono rosee: «Sarà dura ancora per tre anni. Solo nel 2025 vedremo i risultati delle misure prese ora (nuove borse di studio, ndr)», è lapidario Ivano Dal Dosso, rappresentante del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed, per l’Ulss9. «Ora la situazione sta precipitando e sfugge di mano, per il frutto di scelte fatte negli ultimi anni. Si sapeva. Segnaliamo da un decennio l’attuale curva pensionistica. Nessuno si è fatto carico del problema e ora mancano numericamente i medici. Il covid si è solo aggiunto». «Si dimettono primari», continua Dal Dosso, «perché chiamati a risolvere problemi senza gli strumenti per farlo. Senza contare i milioni di ore di straordinario che i medici italiani regalano al sistema sanitario».

Se fare il medico era un’ambizione, ora non è più allettante, insomma. Lo dicono anche le decine di borse non assegnate alla specializzazione dei medici di Pronto soccorso (e Verona non è esente). «Il Pronto soccorso è un ambiente difficile ancor di più se si è giovani perché si lavora in tensione: è un luogo in prima linea». Il carico di lavoro è sempre più alto, dunque, e i medici sopperiscono anche a maternità o pensionamenti non integrati. «E ancora abbiamo stipendi inferiori alla media europea. E, non ultimo, non abbiamo una vita privata». Le responsabilità aumentano nell’ambito dell’urgenza: «L’esposizione al rischio è più alta dovendo agire in velocità. E poi a una certa ora ci si trova, magari, senza pronta specialità cardiologica. Come si lavora così?», continua Dal Dosso. «Questa è una professione che richiede tempo da dedicare al paziente e per il consenso informato. Ma non ne abbiamo, davanti a sempre più interventi». La carenza dei medici, poi, incontra il tema covid: basta un tampone positivo per mettere da parte dieci giorni un operatore che non viene sostituito. E si torna ai 18 posti vacanti nella medicina d’urgenza. «Un trend allarmante», lo definisce la vicepresidente della commissione Sanità regionale, Anna Maria Bigon (Pd), «che se non viene arginato è destinato ad aggravarsi. Ci sono carenze strutturali che trasformano una situazione normale in emergenziale». Per il Forum delle Società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani, la crisi dei Pronto soccorso è la cartina di tornasole di una più profonda crisi degli ospedali pubblici: «È la conseguenza di decenni di sottofinanziamenti e di mancanza di programmazione. Negli ospedali sono insufficienti i posti di degenza ordinaria e di terapia intensiva. Non raggiunge livelli accettabili il personale specialistico in medicina d’urgenza, intensiva, anestesia e rianimazione». .

Maria Vittoria Adami

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