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Trent’anni fa l'inferno

L’inferno del Ruanda e i 53 bimbi ospitati a Verona: «L’ex asilo dei trovatelli al Cerris la loro salvezza dal genocidio»

Daniela Franchi, allora volontaria al Cerris, racconta la storia di Nonna Amelia. E il viaggio per incontrare quei piccoli diventati adulti
Daniela Franchi con alcuni dei bambini che trovarono rifugio al Cerris
Daniela Franchi con alcuni dei bambini che trovarono rifugio al Cerris
Daniela Franchi con alcuni dei bambini che trovarono rifugio al Cerris
Daniela Franchi con alcuni dei bambini che trovarono rifugio al Cerris

Il fuoco covava sotto la cenere da tempo tre le “mille colline” del Ruanda e la scintilla che accese l'inferno fu il 6 aprile del 1994 quando l’aereo presidenziale dell’allora presidente Juvénal Habyarimana, al potere dal 1973, fu abbattuto da un missile mentre era di ritorno da un colloquio di pace in Tanzania per trovare un accordo tra le due fazioni etniche e politiche che si fronteggiavano nel Paese: la maggioranza Hutu, classe dirigente al potere, e la minoranza Tutsi, marginalizzata e vittima di soprusi e violenze.

Ne scaturì un’operazione di pulizia etnica, orrori che il mondo pensava di essersi lasciato per sempre alle spalle dall’olocausto della Seconda Guerra Mondiale.

Una mattanza che a colpi di machete fece un milione di morti.

Nessuna pietà, nemmeno per i bambini

Fu in quella primavera di sangue che per una cinquantina di loro l’ex asilo dei trovatelli al Cerris di Verona divenne la salvezza dal genocidio in atto, e a raccontarci quei giorni è Daniela Franchi, allora volontaria del Cerris, che a quei bambini, oggi più che trentenni, ha dedicato la sua vita: «Fui chiamata dal Cerris guidato dal dottor Bellamoli ad aprile del 1994 per unirmi al gruppo che si prendeva cura di 53 bambini, per lo più neonati, arrivati dal Ruanda», racconta.

Quaranta di loro venivano dall’orfanotrofio che Amelia Barbieri, al secolo “Nonna Amelia”, ostetrica di Vicenza che in Ruanda era arrivata nel 1983, aveva fondato a Muhura a 1900 metri di altitudine e a quattro ore di auto dalla capitale Kigali. «Quando iniziò lo sterminio, nella struttura ne aveva 42», prosegue Daniela.

«La situazione era disperata, non c'era più latte per i neonati, Amelia lanciò un allarme che venne raccolto dalla Croce Rossa Italiana; in piena guerra civile, un convoglio della Cri capeggiato da Maria Pia Fanfani trasse in salvo quei bambini e a loro se ne unirono altri undici, alcuni feriti e mutilati, consegnati dalle suore spagnole di un dispensario».

L’arrivo a Verona

Un viaggio per la vita fino in Uganda, su e giù da sentieri per le montagne, lungo i letti dei fiumi a debita distanza dalla strada principale disseminata di mine. Fu così che Nonna Amelia e i 53 bambini arrivarono in Italia.

Al Cerris di Verona rimasero un anno e mezzo, fino a novembre del 1995 quando il governo ruandese del neopresidente Paul Kagame, un Tutsi allora colonnello a capo dei guerriglieri del Fronte Nazionale e tutt’oggi alla guida del Paese, pretese che venissero rimpatriati: «Andavano all’asilo, noi gli facemmo da nonni e zii. Per molti di loro fu doloroso dover tornare; in quell’anno e mezzo avevano scoperto un nuovo mondo. Due sono rimasti qui, affidati a famiglie veronesi che li hanno fatti crescere. Uno si è laureato. Gli altri sono in Ruanda.

Quelli senza più una famiglia sono rimasti con Nonna Amelia a Muhura (Amelia Barbieri è restata in fino al 2012 quando, all’età di 93 anni, fece ritorno in Italia, per problemi di salute. È scomparsa nel 2016, a 98 anni, ndr)», appunta Daniela che tra il 1996 e il 2005 in Ruanda è stata nove volte, per poi tornarvi nel 2022: «La prima volta, nel 1996, trovai ancora le strade con i posti di blocco; vidi i rifugiati Hutu rientrare dallo Zaire, con la tragedia negli occhi».

Di nuovo in Africa

Lei i suoi bambini è andata a cercarli e li ha ritrovati: «Alcuni si sono laureati, uno è professore a Kigali; ma c’è anche chi non ce l’ha fatta e si è rifugiato nell’alcol. L’orfanotrofio di Nonna Amelia è oggi una scuola gestita da suore congolesi».

Nel maggio del 2000 in collaborazione con la Fondazione Arena venne organizzato un concerto lirico con Renato Bruson, Cecilia Gasdia e Mario Malagnini, grazie al quale vennero raccolti otto milioni di lire coi quali venne rifatta la scuola elementare di Muhura. A consegnare la somma al sindaco di Muhura fu proprio Daniela Franchi con la sua sodale al Cerris Emanuela Dusi.

Trent’anni dopo, racconta di un Paese rappacificato, dove un messaggio della rinascita saranno i Mondiali di ciclismo del prossimo anno: «Non sarà un modello di democrazia, ma il Paese è in sicurezza. Kigali è oggi una metropoli con i grattacieli, in Ruanda dove c’erano i falò c’è la corrente elettrica, la denutrizione non è più un’emergenza, gli assistenti sociali si recano nelle capanne a insegnare alle mamme come nutrire i loro bambini. Kagame, che ha studiato in America, ha creato un servizio sanitario mutualistico con medici e ospedali gratuiti», spiega.

Lei si cura ancora dei suoi ragazzi e ci mostra i messaggi che riceve su WhatsApp: «In questi giorni si consolano a vicenda perché il ricordo del genocidio li accompagna sempre».

Lorenzo Fabiano

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