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Dopo la rapina in via Roma

La fuga della ragazza dalla comunità è stata «coperta» dagli amici. Ora rischia il carcere

I carabinieri in via Roma dopo la rapina
I carabinieri in via Roma dopo la rapina
I carabinieri in via Roma dopo la rapina
I carabinieri in via Roma dopo la rapina

È ancora in fuga. È ancora nascosta da qualche parte, al sicuro, protetta da qualche amico. Ma non potrà durare per molto ancora. Il cerchio attorno ad una delle ragazzine che hanno aggredito un ventunenne cui è stato rapinato il monopattino in via Roma, è destinato a chiudersi. E per lei la situazione, più a lungo dura la «latitanza», più rischia di peggiorare, perchè il magistrato che aveva concesso la custodia in comunità, potrebbe revocare quel beneficio. Se l’autorità giudiziaria ritiene grave la "trasgressione della minore" può disporre, a titolo di aggravamento, il collocamento della minore in un istituto penale minorile. Le leggi che normano i reati minorili sono differenti rispetto a quelle degli adulti. Giuridicamente infatti, la minorenne non è evasa, come invece sarebbe stato per un adulto che se ne fosse andato dagli arresti domiciliari dopo la convalida di un arresto.


I minori sono più tutelati. Basti pensare, per fare un altro esempio, che la stampa non può pubblicare i loro nomi, e nemmeno quelli di familiari che possano far arrivare a farli dunque identificare. Lo prevede la Carta di Treviso, il documento che impegna i giornalisti italiani a norme di comportamenti deontologicamente corrette nei confronti dei bambini e dei minori.
«Il rito minorile, è declinato, secondo peculiari principi, in ragione della specificità dei soggetti. Per il minore infatti, il legislatore ha previsto un sistema de libertate caratterizzato da autonomia e specialità rispetto a quanto stabilito per i soggetti maggiorenni, ma con la pacifica applicabilità, anche al minore di tutte le garanzie previste per la tutela del soggetto adulto, non potendo certo, il minore, patire un trattamento deteriore rispetto a quello riservato al maggiorenne, in ragione sia del principio di sussidiarietà, sia anche della complessiva ratio, che informa il sistema di giustizia minorile italiano, connotato da un nutrito numero di misure cautelari personali suddivisibili, in ragione del loro contenuto prescrittivo, in misure a carattere obbligatorio (prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità) e misure coercitive (custodia in carcere)», spiega l’avvocato Christian Serpelloni, vice presidente Camera Minorile di Verona, co-responsabile settore penale Unione nazionale camere minorili.

E sulla fuga delle ragazze (una poi rientrata subito) dalla comunità: «Come rilevato in dottrina, pare doversi escludere, in ragione della forma stessa fornita alla misura, che i responsabili della comunità assumano il ruolo di custodi in senso penalistico. Diversamente vi sarebbe una palese violazione in quanto si andrebbe ad istituire un potere di coercizione sul minorenne ad opera della comunità, in assenza di una norma di legge che ciò preveda esplicitamente. Come noto la misura del collocamento in comunità rappresenta, nella scala di crescente afflittività legislativamente indicata, l’ultima delle misure non custodiali. La misura successiva è rappresentata dalla custodia cautelare in carcere». Conclude l’avvocato: «Il punto fondamentale è che l’evoluzione di questi ragazzi dipende anche da quale percorso giudiziario intraprenderanno. Non è sufficiente accertare un accadimento delittuoso. Il coinvolgimento in un reato da parte di un minorenne è quasi sempre espressione di conflitto: con l’altro, con la società talvolta con sè stessi. Il reato rappresenta l’apice della dimensione conflittuale, gli accertamenti sulla personalità del minore sono fondamentali per riuscire a costruire un percorso penale “su misura” che sia davvero responsabilizzante e gli impedisca di tornare in carcere».
Pronta la task force E intanto si prepara un tavolo di lavoro tra le varie istituzioni per tentare di arginare e risolvere il problema del disagio giovanile e delle bande a Verona, che sarebbero in tutto un numero tra 15 e 20 sul territorio cittadino. «Tra pochi giorni avremo il primo incontro di un tavolo di lavoro che sarà coordinato dal professor Vittorino Andreoli», fa sapere l’assessore ai Servizi sociali del Comune Daniela Maellare, «assieme a noi ci sarà la Questura, in prima fila nella composizione di questa task force, ma anche l’ordine degli psicologi, l’Ulss 9 Scaligera, il dipartimento di Scienze giuridiche dell’università di Verona e l’ufficio scolastico provinciale, per tentare di ragionare su quali azioni concrete mettere in atto, e in che momento riuscire ad intercettare questo disagio». Tutte le forze in campo quindi per contrastare un fenomeno che ha assunto contorni preoccupanti anche se non è certo al livello di altre realtà. «Farei attenzione a parlare di baby gang, quelle sono presenti in realtà come Milano o altre metropoli», va avanti Maellare, «sicuramente ci sono molti ragazzi problematici che si comportano in maniera sbagliata, parlerei di comportamenti devianti più che di baby gang anche se l’attenzione rimane altissima. Diciamo che sono preoccupata ma non angosciata, nel frattempo continuiamo a lavorare ognuno con le sue competenze, credo sia fondamentale fare rete».
Con il Comune che con i suoi Servizi sociali sta seguendo attualmente 679 adolescenti nei vari centri di riferimento. «Questi li abbiamo sott’occhio quotidianamente con un controllo capillare, dobbiamo riuscire ad intercettare le altre situazioni problematiche e come aiutarle. Di recente abbiamo inaugurato il servizio “La famiglia si rigenera” in via del Carroccio per stare vicini ai genitori, stiamo lavorando su come mettere insieme i circoli Noi e avere dei fari per intercettare questi ragazzi più a disagio». Ma uno dei progetti più interessanti è quello degli educatori di strada. «Lavoriamo con il gruppo Abele e stiamo pensando a degli educatori di strada, ad esempio nella zona di via Roma», conclude l’assessore scaligero, «creando un team di professionisti che girino nei luoghi sensibili come parchi, stazione e altri, avvicinando i ragazzi e parlando il loro linguaggio, per capirli e offrire un aiuto». 

Alessandra Vaccari e Luca Mazzara

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