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Le parole di Domenico Pompili

Il messaggio del vescovo: «Per Pasqua ci vogliono altri occhi»

Il vescovo di Verona, Domenico Pompili
Il vescovo di Verona, Domenico Pompili
Il vescovo di Verona, Domenico Pompili
Il vescovo di Verona, Domenico Pompili

La Pasqua cristiana non è un generico richiamo al risveglio della natura, per quanto la fioritura dei ciliegi sia una esperienza emozionante. Pasqua significa «passare oltre» rispetto gli imprevisti della vita, «oltre» persino alla morte. 

Passare “oltre” non significa beninteso passare “sopra”. Significa piuttosto passare “attraverso”. Per farlo, occorre però un altro sguardo. Quello che i medievali sintetizzano nell’espressione: “ubi amor ibi oculos” (Riccardo di san Vittore). Sì, dove c’è l’amore nasce lo sguardo. Ci vogliono occhi nuovi per intravvedere dietro la morte la vita, sotto la disperazione la fiducia, nascosta dietro la scorza del male il seme del bene. In effetti, quando gli occhi dell’amore si impongono, come d’incanto certi miti o “paraocchi” che offuscano la vista, vengono meno.

Come il mito dell’utile che porta a fare solo quello che torna indietro e così perdiamo cose belle, seppure inutili. Oppure il mito della lotta continua che fa dell’altro un pericolo da eliminare piuttosto che con compagno di viaggio. O, infine, il mito dell’apatia che fa rinunciatari in partenza dinanzi a qualsiasi difficoltà.

Va detto, peraltro, che l’umanità oggi è dentro una “tempesta quasi perfetta”, dove si moltiplicano i fronti di tensione: i conflitti armati, il terrorismo internazionale, l’edificazione di muri, le guerre civili, le persecuzioni delle minoranze etniche o religiose. Sembra profilarsi all’orizzonte una segreta attrazione per la morte. Come spiegare diversamente quello che sta accadendo? Perché così tanta violenza? Si tratta di un’attività del tutto irrazionale che mette a rischio il bene più prezioso, cioè la vita, oltre a distruggere tutto. Eppure si trova sempre un motivo per aprire le ostilità. Come già sosteneva Freud, che si interrogava stupito sulla prima guerra mondiale nella civile Europa, ci sono “pulsioni distruttive”, che egli chiama “istinti di morte”, presenti in ogni uomo. Né la cultura né la civiltà bastano a cancellarli. Osservando con attenzione non si fatica ad individuarne almeno quattro: l’avidità/aggressività, l’ideologia, la paura, il senso dell’onore. In tutti questi casi si corre il rischio di essere sopraffatti dalla morte e mai raggiunti dalla vita. In un’epoca in cui la pulsione di morte è così forte e pervasiva, la scommessa del cristianesimo è quella di testimoniare la possibilità di sfuggire al destino di morte che la piega moderna – pur assetata di vita – ha finito per prendere, vivendo nella serena consapevolezza che, al di là di tutto, la vita è superiore alla morte. Già su questa terra, anche se in modo imperfetto e in mezzo a mille contrasti. E che la salvezza altro non è che la chiamata – che riguarda ogni essere umano – a inserirsi nel grande processo della vita che ci precede e alla quale apparteniamo.

La fede cristiana ha spostato in avanti le lancette della storia introducendo con la resurrezione di Gesù di Nazareth il futuro che è dato non più come una minaccia, ma come una promessa. L’istinto della vita ha così la meglio sulla paura della morte. Per questo come scriveva un teologo luterano, impiccato il 9 aprile 1945 da Hitler: “La resurrezione non è la soluzione al problema della morte, ma uno sguardo nuovo sulla questione della vita” (D. Bonoheffer).

Domenico Pompili, vescovo di Verona

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