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Arte e Shoah

I «sassi della Memoria» del pittore veronese Fiorenzo «Cino» Granata

Fiorenzo «Cino» Granata mostra uno dei sassi
Fiorenzo «Cino» Granata mostra uno dei sassi
Fiorenzo «Cino» Granata mostra uno dei sassi
Fiorenzo «Cino» Granata mostra uno dei sassi

Non solo su tela dipinge il pittore veronese Fiorenzo «Cino» Granata che nel giorno della memoria dedica alle vittime dell'Olocausto i suoi «sassi della memoria». Sono ciotoli lisci e ovali di progno da lui raccolti in gioventù e poi ora illustrati con l'espressione del «bambino che è in noi» ovvero le immagini di uno dei suoi significativi personaggi che intercala ad altri suoi differenti stili di pittura figurativa, simbolica e astratta. Jurij Gallino è una trinità formata da due umani astratti e da una creatura che assomiglia ad un pulcino o a un uccellino, apparentemente fragile ed invece forte dentro come dimostra la sua volontà di non lasciarsi mai andare anche nelle situazioni più difficili: lo dimostra, sui sassi, il suo tenersi, come si fa con l'aquilone, al filo della speranza e della fede. Costantemente Granata apre il cuore alla rievocazione della Shoah e già l'anno scorso il suo Jurij Gallino è apparso sulla «scatola della memoria» (una scatola da scarpe) da lui dipinta e dedicata alla senatrice ex deportata Liliana Segre e alla sua testimonianza riguardo il disegno di una bimba di Terezín raffigurante una farfalla che vola oltre il filo spinato.

 

Oggi invece ecco i sassi: la tradizione di porli sulla tomba dei propri cari è propria degli ebrei che così vogliono significare il ritorno del corpo alla terra, mentre l’anima va in cielo, ed è a questa tradizione che Cino Granata si ispira. «Mi commuove sfogliare il libro che raccoglie i disegni fatti dai bambini del campo di concentramento di Terezín, in Cecoslovacchia», confida Granata riguardo alle opere dei piccoli deportati in quella che fu tra il 24 novembre 1941 e il 9 maggio 1945 la struttura di internamento e deportazione anticamera del lager di Auschwitz. Theresienstadt, questo il nome in tedesco della fortezza, è stato il ghetto degli artisti: situato a circa 60 km da Praga, ospitava oltre agli adulti anche moltissimi bambini in attesa di essere portati nei campi di sterminio. «In quel luogo era forte la presenza di pittori, musicisti, scrittori, compositori, poeti e intellettuali», spiega Granata.

 

Fu grazie alla maestra Friedl Dicker Brandeis che i bambini poterono esprimersi attraverso i disegni che ora sono conservati al Museo Statale di Praga. La donna li aveva tutti messi in una valigia, così che non andassero persi e non si rovinassero. Li aveva prima catalogati minuziosamente e poi scritto al margine di ogni foglio la data di nascita e di deportazione di ogni bambino». Fino alla fine Friedl Dicker Brandeis è stata angelo custode dei suoi bimbi, decidendo di seguirli ad Auschwitz dove ha trovato la morte in una camera a gas, nel 1944, proprio insieme a molti dei suoi piccoli alunni.

 

Le valigie contenenti i 4 mila disegni che aveva portato con sé ad Auschwitz e che miracolosamente avevano passato i controlli, sono state ritrovate solo dieci anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. «I miei sassi sono il mio umile contributo alla memoria che rende liberi e all'innocenza di quei disegni che raccontano la prigionia e l’orrore dell’Olocausto attraverso gli occhi di chi è ancora bimbo», prosegue Granata. «Sono toccanti. Quelli dei più piccoli raffigurano case, prati verdi e farfalle in volo. Altri la cruda realtà della prigionia. Tutte le opere però sono intrise di speranza e sogno della fine di un incubo».

Michela Pezzani

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