La fuga dei neolaureati in medicina. A Verona ne mancano all’appello 347. Il Ministero dell’Università e della Ricerca ha finanziato 746 borse di specialità e ne ha assegnate solo 399. Praticamente la metà è rimasta scoperta. Con grandi criticità nelle solite aree, quelle in cronica sofferenza da almeno un decennio: anestesia-rianimazione, emergenza-urgenza, medicina interna e le chirurgie.
Mancano anestesisti, medici di Pronto soccorso e chirurghi
«Un quadro disastroso», commenta il professor Giovanni De Manzoni, direttore del Dipartimento di Scienze Chirurgiche Odontostomatologiche e Materno-Infantili dell’Università di Verona, nonché referente del rettore per le Scuole di Specializzazione di area medica, «i dati del nostro ateneo fotografano una situazione che si ripete uguale in tutta Italia, che è arrivata a mettere in profonda crisi anche l’Inghilterra e addirittura la Corea e il Giappone». Il futuro? «Se non cambia qualcosa a livello di programmazione e di investimenti economici in grado di fermare l’emorragia, tra pochi anni nei nostri ospedali non avremo più anestesisti, medici di Pronto soccorso e chirurghi».
I numeri dell'emergenza
I laureati che si sono iscritti alle diverse scuole di specializzazione a Verona sono stati, al 31 ottobre (l’inizio dell’attività didattica è stato l’1 novembre) 399 a fronte di 746 posti. Significa che 347 «borse» sono andate deserte.
Nella lista, emergono ad occhio nudo le branche in crisi: anestesia-rianimazione offriva 78 posti, l’hanno scelta in 19; medicina d’emergenza-urgenza ne aveva 59 ma si sono iscritti soltanto in 4; chirurgia generale altri 40, occupati da 16 studenti.
«È un copione che si ripete pressoché uguale negli ultimi anni», commenta il professor De Manzoni, «assistiamo ad una fuga irrefrenabile soprattutto nelle aree in prima linea, tanto che la stessa Regione Veneto che in passato ha sempre finanziato alcuni contratti in aggiunta a quelli del Ministero, quest’anno non l’ha fatto».
Un quadro preoccupante che certifica «l’estinzione» della figura soprattutto di alcuni specialisti con l’avanzata della figura del medico gettonista che va a sostituirli. A volte, laddove i bandi delle aziende sanitarie lo prevedano, sono gli stessi neolaureati, senza aver fatto la scuola, a lavorare ad esempio nei pronto soccorso «a tempo», occupandosi dei codici più leggeri (bianchi e verdi), con il vantaggio di decidere loro quando farlo, per quanto tempo e guadagnando più soldi dell’assegno di specialità.
Una Caporetto: «Lavorare sul salario e sugli incentivi»
«La verità? È un dramma», confessa De Manzoni, «è sotto agli occhi di tutti la china discendente su cui da anni si è avviata la sanità pubblica. Il governo deve fare qualcosa in fretta per far sì che le scelte dei nostri giovani medici tornino ad essere fatte sulla base della passione. Quella che ha sempre animato chi ha la vocazione ad indossare questo camice. Bisogna quindi lavorare sul salario. Sugli incentivi, ad esempio, a chi sceglie la prima linea. Serve più strategia per evitare il destino di un servizio sanitario che altrimenti, di questo passo, è tragicamente segnato a finire non bene, come una Caporetto, con conseguenze disastrose per questa meravigliosa professione e per la collettività, già in forte sofferenza per disservizi e disagi».
Il fuggi fuggi: dove vanno?
Per spiegare quali alternative hanno i 347 neolaureati potenziali candidati che quest’anno hanno rinunciato alla specialità, il professor De Manzoni individua una strada in particolare. «Fanno le sostituzioni dei medici di base», spiega, «oppure lavorano in partita Iva. Fanno le guardie mediche. Con le cooperative anche un semplice laureato può fare i turni al Pronto Soccorso, non è necessario essere specializzati: vengono pagati a prestazione, a 1.200 euro lordi a notte, guadagnando molto di più di un collega in formazione».
Resta anche l’opzione «estero», dove gli stipendi e le possibilità di carriera sono maggiori rispetto all’Italia. «La via di fuga di chi sceglie di lasciare il Paese», continua il referente delle Scuole di specializzazione della nostra Università, «funzionava di più in passato perchè oggi, ad esempio, negli ospedali inglesi sono messi peggio di noi, e la crisi della professione sta dilagando su scala mondiale: gli specializzandi stakanovisti coreani o giapponesi, che lavorano 16 ore al giorno in corsia, stanno lottando per una riduzione dei carichi di lavoro. Non è quindi sempre oro quello che luccica fuori da casa nostra e delle 347 borse andate deserte a Verona quest’anno, non è detto che siano tutte per forza di neolaureati cervelli in fuga».
Serve strategia
Nella lista dei posti rimasti vuoti, spiccano le zero domande per la medicina di comunità (a fronte di 15 contratti disponibili) e le sole 2 di «cure palliative» per le quali il Mur ha bandito a Verona 11 contratti. «Per forza», conclude De Manzoni, «come si fa a pensare che un giovane di 24-25 anni, appena uscito dall’università, abbia la spinta per decidere di dedicarsi ai malati dimessi da un ricovero e non ancora “pronti“ per tornare a casa in una struttura dedicata sul territorio o, più pesante, a quelli terminali da accompagnare al fine vita con terapie in grado di sollevare le loro sofferenze?».