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Memoria della Shoah

Gilda Forti e Tullio Basevi, i primi nomi nelle «pietre d'inciampo»

La posa della pietra d'inciampo in memoria di Gilda Forti (Foto Marchiori)
La posa della pietra d'inciampo in memoria di Gilda Forti (Foto Marchiori)
Pietre d'inciampo in via Stella (Marchiori)

Pietre di ottone destinate a fare "inciampare la testa e il cuore delle persone". Da ieri anche Verona, come oltre 2mila città del mondo, ha aderito al progetto artistico del berlinese Gunter Demnig in ricordo di tutte le vittime delle persecuzioni naziste per religione, etnia, idee. Via Duomo e via Stella sono le prime strade del centro città in cui - grazie all'associazione figli della Shoah, il contributo delle regione e l'interessamento del Comune - ci si può soffermare sulle cosiddette Stolpersteine, blocchi quadrati di pietra di 10x10 centimetri, coperti di ottone lucente su cui sono impressi il nome della vittima, l'anno in cui è nata, il giorno e il luogo della deportazione e, se nota, la data dell'assassinio. Al loro fianco sono state deposte ieri anche una rosa e un lumino bianco per onorare il "ritorno a casa" delle vittime veronesi strappate alla vita dalle leggi razziali.

Del giorno della morte di Gilda Forti, che viveva al civico 5 di via Duomo, non c'è traccia. Ma la sua deportazione è certa. Nata a Verona nel 1886, era un'impiegata. Non si sposò, non ebbe figli e, nonostante la sua condotta "morale e politica" fosse considerata "buona", venne in ogni caso costretta a vigilanza. Avvisata di una retata dopo l'armistizio si allontanò da casa con la famiglia, che ritrovò poi la porta sigillata. I parenti si dispersero e Gilda si rifugiò dal cugino Tullio Basevi in vicolo Stella 6. Proprio questa è la seconda abitazione in cui da ieri si può "inciampare" nella memoria. I due cugini, risparmiati dalle camicie nere e dalla polizia locale, sono stati denunciati da un cameriere e infine prelevati dalle SS.

Tullio era insegnante di canto e maestro d'orchestra. Gli impedirono di praticare la professione (cosa che continuò comunque a fare), di fare assistere la madre anziana dall'infermiera "di razza ariana" e gli tolsero l'apparecchio radiofonico. Morì a Flossenburg il 20 dicembre 1944. «Ho promosso il progetto subito dopo la mia nomina e ora siamo agli inizi di un percorso destinato a proseguire», assicura l'assessore al patrimonio Nicola Spagnol. «Simili iniziative oggi più che mai devono tenere sveglie le coscienze. Quanto sta accadendo in Ucraina ci porta a rivivere il passato, quasi che la storia non abbiamo insegnato nulla».

«Dopo che si posa la prima pietra non ci si può fermare, e con la seconda si è di fronte a un progetto», evidenzia la presidente dell'associazione Daniela Dana Tedeschi. «Ricordare i nomi di chi è stato privato di un nome significa fare un dono alla città, ai giovani perché si pongano domande. La memoria è conoscenza». «Non avremmo mai pensato di rivedere le atrocità della guerra, come sta accadendo in Ucraina», incalza il sindaco Federico Sboarina. «Il carro dei deportati che abbiamo acquistato ha generato un processo importante. Ce lo chiedono anche dalla provincia».

A Verona e provincia i deportati per varie ragioni sono stati 643, di cui 311 assassinati e gli altri tornati. «Il primo elenco veronese di persone che hanno perso la vita perché ebrei è di 30 persone», dice l'insegnante Nadia Olivieri che ha curato il progetto. Probabilmente le pietre d'inciampo non arriveranno a tale numero. «Il progetto è costato 4 anni di lavoro e pazienza, per la ricerca, la burocrazia e per confrontarci con i parenti», spiega Roberto Israel dell'associazione. «C'è chi vive la posa delle pietre come un'offesa all'intimità di chi non c'è più. Per noi invece si tratta di coltivare il ricordo come valore per il futuro, di far confluire la piccola storia nella grande»..

Chiara Bazzanella

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