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La chiusura delle scuole

«Fascia 0-6 calpestata. Ora i bimbi li lasceremo dai nonni, che erano quelli da proteggere»

di Laura Perina
La chiusura delle scuole

Questa mattina Verona si è svegliata con il suo esercito di centomila studenti nuovamente in regime di didattica a distanza. I portoni dei plessi scolastici si sono chiusi anche per qualche migliaio di bambini degli asili nido e delle materne.

Scene già vissute e cominciate nello stesso periodo dell'anno, 12 mesi fa. E le mamme lavoratrici? Pure stavolta hanno dovuto riorganizzare in tutta fretta il proprio ménage, specialmente chi ha figli che, oltre alla presenza, richiedono supporto per svolgere le lezioni da casa. Chi può si arrangia con la tata di riferimento o facendo affidamento sui nonni, in attesa che i congedi parentali o i voucher baby sitter (anche qui, déjà vu) trovino attuazione. Ma non per tutte è così.

Stefania Merzi, 37 anni, insegna alla primaria e nello stesso istituto, paritario, è anche coordinatrice della scuola dell'infanzia. Per la Dad si è attrezzata con webcam e lavagna nera, ma lavorerà con un occhio sul computer e l'altro su suo figlio di quasi tre anni. «I miei genitori non sono pensionati, mio marito è un imprenditore e una baby sitter a tempo pieno è un costo spropositato, quindi lui deve rimanere per forza con me», spiega. «Questo vuol dire rivoluzionare il contesto casa, per far sì che sia il più autonomo possibile. Ci sono anche diverse questioni pratiche a cui far fronte, per esempio il pranzo. A scuola è abituato a farlo alle 11.30, ma a quell'ora io sono nel pieno della lezione. Assegnerò un esercizio, finché gli do da mangiare. La mia classe vedrà dietro di me i fornelli accessi, ma so che dall'altra parte dello schermo ci sono anche dei genitori e credo mi capiranno. Un bimbo ha bisogno di te anche per soffiarsi il naso. La fascia dagli zero ai 6 anni è stata calpestata».

Stefania non è l'unica a pensare che chiudere i servizi per l'infanzia sia un errore, che occorre preservare i piccolissimi e le loro famiglie. «È ricominciato l'incubo, ovvero l'impossibilità di conciliare illavoro con la presenza a casa delle mie bambine», racconta

Elettra Bertucco, 35 anni, libera professionista e mamma di due bimbe di 4 e 2 anni. «Sono videomaker e insegno nella formazione. Quando non sono in giro, nelle aziende, sono a casa ma collegata in aula virtuale con i miei studenti. Mio marito è dipendente di una ditta che produce macchine per la pulizia e la sanificazione, ora lavorano senza sosta. Questo significa dover di nuovo pesare sulle spalle di mia suocera, in pensione dal 2019. Il tutto col paradosso di chiudere le scuole per rallentare i contagi e tutelare le fasce deboli, salvo poi costringere le famiglie a delegare la cura dei figli ai nonni, che sono i primi da proteggere». Per quanto tempo, non si sa. Il provvedimento dura due settimane, «ma rischiamo di trovarci a maggio e di sentirci dire un'altra volta che tornare a scuola per pochi giorni non ha senso, che ci rivediamo a settembre». Elettra teme per il suo lavoro, già calato significativamente rispetto al pre-pandemia. «Non vorrei rinunciare a una professione che ho costruito con sacrifici miei e della famiglia. L’anno scorso sono stati erogati bonus baby sitter da 1.600 euro lordi e 30 giorni di congedo parentale al 50%, con cui una famiglia in cui entrambi i genitori lavorano full time ha coperto due mesi di scuole chiuse su quattro. Ora non è stata ancora varata alcuna misura. Si sta parlando di 100 euro a settimana di voucher baby sitter. Copri un giorno, e gli altri quattro?»

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