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Come ravvivare le zebre?
Ci vuole un concorso di idee

Quasi ogni settimana - scrive la Olga - un pedone viene investito sulle strisce.

L’altro giorno in zona Adigeo un automobilista, a sua volta tamponato, ha fatto ambo, tirando sotto due donne. A quando la terna, la quaterna e la cinquina?

La tombola - che non è da escludere - si verificherebbe nel caso in cui a essere falciato fosse un gregge di turisti che attraversasse compatto dietro la guida co’ l’ombrelìn. Bisogna dire che in zona Adigeo le zebre erano state cancellate poco prima dalla polizia municipale nell’ambito di un riordino della viabilità conseguente all’insediamento del nuovo mostro commerciale e che, quindi, alle due donne, abituate ad attraversare in quel punto, è stato come tórghe la caréga soto al cul.

In genere però nel resto della città le zebre ci sono ma sono così stinte da risultare spesso invisibili.

Perché mentre nelle savane africane, come ho visto in una puntata di Geo & Geo, questi animali godono di periodiche manutenzioni, a Verona vivono in una trascuratezza da sesto mondo. Qui ci si incarta vagheggiando grandi opere, ci si fa prendere dalla frégola di voler mettere el capèl sull’Arena, ci si prende cura degli alberi abbattendoli prima che si ammalino, ma - e forse non è del tutto un demerito - si lascia all’intuito del pedone e dell’automobilista, spesso però sopravvalutandoli, indovinare dove, ragionevolmente, potrebbero esserci delle strisce che l’incuria ha reso pallidi fantasmi orizzontali.

Indovina indovinello, ma se capita che non indovini, tu pedone finisci all’ospedale o ai Du Leoni. Eppure non occorre - come suggerisce el geometra Trivèla - indire un concorso internazionale di idee, come si è fatto per el capèl dell’Arena, per arrivare a capire che le zebre smorte si ravvivano, come appunto si fa nelle savane, con dei bussolòti de bianco.

Il mio Gino dice però di aver saputo da un amico che lavora in Comune che i bussolòti di bianco ci sono ma che, per colpa delle legge di stabilità, mancano i penèi e che de quei vèci gh’è restà solo i màneghi. È insomma come in quella barzelletta sulla disorganizzazione dell’Inferno dove i condannati a mangiare ogni giorno un piatto di m... e a martellarsi le ónge dei pié si lamentano perché un giorno manca la m... e un giorno i martèi.

Silvino Gonzato

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