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ITALIA

Strage del bus ungherese, arrestato l’autista Varga: deve scontare sei anni di carcere

L’uomo è stato rintracciato nel suo Paese dalla polizia, in dieci giorni dovrebbe arrivare in Italia
Il bus bruciato
Il bus bruciato
Il bus bruciato
Il bus bruciato

È stato rintracciato in Ungheria, nel suo Paese. Il mandato di cattura a suo carico era stato emesso dalla Procura della Repubblica di Verona in agosto. Janos Varga, l’autista del pullman di studenti ungheresi che nel 2017 uscì di strada dopo aver centrato un pilone in A4 (morirono 17 persone, erano studenti del liceo classico Szinyei Merse Pal di Budapest ed i loro accompagnatori, ed un secondo autista), deve scontare sei anni di carcere per omicidio colposo plurimo.

 

In carcere in Ungheria

L’incidente avvenne sulla Serenissima, all’altezza di San Martino Buon Albergo. Era la notte del 20 gennaio 2017. Varga che aveva chiuso la vicenda giudiziaria in Appello e aveva sempre negato di essere stato alla guida, ora è in carcere in Ungheria. Tecnicamente la giustizia ungherese ha una decina di giorni di tempo per consegnarlo all’Italia. Prorogabili a 60 per motivate ragioni, che possono diventare anche 90 in caso di gravi motivi di salute. In linea teorica Vargas dovrebbe scontare la pena, almeno inizialmente in Italia (non è detto sia la casa circondariale di Verona, dipende da dove c’è posto e su quale scalo atterra). Poi potrà chiedere un avvicinamento alla sua patria per avere il conforto dei familiari che difficilmente potrebbero essergli vicino durante la detenzione in Italia.

 

Un colpo di sonno

Secondo la ricostruzione del Pm Paolo Sachar il conducente avrebbe perso il controllo del mezzo per un colpo di sonno, deviando gradualmente la traiettoria di marcia verso destra. A quel punto, la parte anteriore della fiancata destra del pullman è entrata in contatto con il sicurvia laterale a lato della strada. L’autobus ha proseguito la sua strada per una quindicina di metri con la fiancata destra a ridosso del guardrail, che cedeva e si deformava verso l’esterno, fuoriuscendo poi con le ruote di destra. A quel punto il pullman aveva abbattuto un palo dell’illuminazione e un altro con i limiti di velocità, fino a impattare, dopo aver percorso un’altra quindicina di metri, contro il pilone sorreggente il cavalcavia dello svincolo di Verona Est, il quale si incuneava per circa otto metri nella struttura dell’autobus, distruggendo il serbatoio del carburante.

È stato a quel punto che il pullman ha preso fuoco: le fiamme si sono estese in tutto il mezzo in conseguenza della fuoriuscita di carburante, del danneggiamento dell’impianto elettrico e dell’attrito generato dall’avanzamento. Dalle ricostruzioni in aula, durante un lungo processo era emerso che la velocità del mezzo al momento dell’impatto era di media 100 chilometri all’ora.

 

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Morti tra le fiamme in 17

Morirono bruciati, quella notte, 17 passeggeri, quasi tutti studenti di Budapest tra i 14 e i 18 anni di ritorno dalla gita scolastica in Francia; oltre a loro (tra le vittime anche qualche accompagnatore e il secondo autista), rimasero feriti gravemente altri quattro ragazzi (ustioni profondissime e traumi alla testa) mentre 25 se la cavarono con 30 giorni di prognosi. «La strage di Verona», come è stata da subito chiamata, poteva avere un bilancio, sostenne la Procura veronese, molto peggiore. Se quel «serbatoio di scorta» alloggiato sul lato posteriore del bus per garantire il rifornimento di gasolio durante il lungo viaggio, fosse stato pieno, «sarebbero morti tutti».

Varga, emerse in dibattimento, si era messo al volante dell’autobus «pur sapendo di essere affetto dalla sindrome delle apnee notturne, caratterizzata da involontari addormentamenti, che lo rendeva inidoneo alla guida di qualsiasi veicolo».

Alessandra Vaccari

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