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La bimba di tre anni e mezzo

La piccola Amelia, da 187 giorni in ospedale in attesa di un cuore nuovo

di Camilla Ferro
La mamma: «Parlare di trapianti pediatrici è un tabù: per dare una vita serve una tragedia. Ma noi abbiamo speranza»
La bimba in ospedale. Da 187 giorni attende un trapianto di cuore
La bimba in ospedale. Da 187 giorni attende un trapianto di cuore
La bimba in ospedale. Da 187 giorni attende un trapianto di cuore
La bimba in ospedale. Da 187 giorni attende un trapianto di cuore

Amelia è nata con il cuore troppo grande. Ha tre anni e mezzo e da più di sei mesi vive in ospedale. È ricoverata da 187 giorni a Borgo Trento, nel reparto di Terapia Intensiva Cardiotoracovascolare del professor Leonardo Gottin. È in attesa di trapianto, nella lista delle «urgenze».

«E’ stata inserita in maggio», racconta mamma Giulia, «ma è impossibile sapere se, e quando, arriverà il cuore compatibile, della grandezza, del peso e del gruppo sanguigno giusti per lei». Il nome di Amelia (di fantasia) ha la priorità a livello Italia-Europa. La sua vita è appesa ad un filo, per diventare grande ha bisogno di ricevere un organo nuovo. Sapevamo della sua patologia congenita già mentre era in pancia», continua Giulia, «volevano farla nascere a 24 settimane perchè con quella cardiomiopatia dilatativa grave era a rischio di morte intrauterina, ma per il mio istinto di mamma era altrettanto pericoloso metterla al mondo così prematura. Siamo riusciti, grazie al monitoraggio costante, ad arrivare all’inizio dell’ottavo mese. Amelia è nata ad inizio 2020. C’erano 10 medici in sala parto. È stata subito trasferita in terapia intensiva, dove è rimasta due mesi».

Giulia racconta di quei giorni senza cadere nella disperazione. «Eravamo preparati a tutto, lo siamo sempre stati», sorride amaro, «e con la stessa positività e fiducia nella medicina e nella forza della nostra creatura, siamo arrivati fino a qui: è solo grazie al suo spirito combattivo e alla sua voglia di vivere che vinceremo. Lei è la prima grande guerriera, noi siamo al suo fianco, certi che se le è capitata questa cosa terribile, ha avuto in dono anche la forza per affrontarla: grazie alla scienza e soprattutto al cuore grande di chi deciderà di trasformare il proprio lutto in nuova vita, Amelia si salverà».

Quando? Quanto può aspettare? «Tutto il tempo che serve», snocciola i numeri affissi alla finestra della sua camera in terapia intensiva, una sorta di calendario-countdown alla rovescia a cui ogni mattina mamma Giulia aggiunge un giorno in più di speranza, «siamo qui da 187 giorni e una manciata di ore, staremo qui finché arriverà il dono, il regalo più grande per Amelia. Questi 187 giorni potranno raddoppiare, triplicare, durare tutto il tempo che serve, noi aspettiamo, aspettiamo in questa stanza d’ospedale che è diventata casa, con gli infermieri, i medici e il personale fantastico che la aiuta a vivere il più serenamente possibile il ricovero».

Amelia non piange. Amelia sa cosa la aspetta: «Appena mi mettono il cuoricino nuovo», ripete a Giulia, «mi porti a Gardaland, vero mamma?». Giulia le sorride. «In questi 6 mesi ha potuto vedere suo fratello poche volte: viviamo dentro a questa stanza da aprile, non la lascio mai, esco per andare a dormire a casa due sere a settimana, mi dà il cambio mio marito, così posso dedicarmi un po’ anche al più grande. Non è facile. Per nessuno. Sogna le giostre, sogna di uscire».

«Nei momenti buoni Amelia ha fatto tutto quello che si fa alla sua età», va avanti Giulia, «è andata all’asilo e ha giocato tanto. Prende 10 farmaci salva-vita al giorno. Si affatica ma niente la limita. Posso dirlo? Lo sento che non morirà, il suo destino è vivere, il dono arriverà...». Giulia non prega. «Non posso pregare», ha gli occhi lucidi, «che un’altra creatura muoia perchè la mia abbia un cuore nuovo. Sarei disumana. Non so come spiegarlo ma il futuro di Amelia è qui». Ed ecco il motivo per cui Giulia e suo marito Federico hanno deciso di esporsi.

La donazione di organi in età pediatrica - «solo a dirle, queste parole, mi si spacca il cuore» - è una realtà su cui tutti dovremmo riflettere. «Sono molto pochi i casi in cui i genitori accettano di fare il più generoso dei gesti», spiega, «in Italia in un anno avvengono solo 10-12 trapianti di cuore nei bimbi. Troppo pochi a fronte di un fabbisogno più grande e di una potenzialità che sarebbe almeno del doppio. Parlo con la delicatezza che serve di fronte al dolore più grande, la perdita di un figlio, capendo la forza disumana ed il coraggio che servono per dire quel sì a dare qualcosa di suo. Il più sovraumano dei gesti che non ripara nulla rispetto alla morte ma può almeno darle un senso. Penso che di questo tema, attuale per i tanti piccoli in lista d’attesa, si parli troppo poco», sostiene Giulia, «e che si debba cominciare a sensibilizzarsi, a “mettersi nei panni“ di chi in queste emergenze ci vive, convincendosi che possono all’improvviso diventare panni anche nostri».

E conclude: «È una dannata storia, quella della donazione pediatrica, quasi un tabù: per realizzarla, serve una tragedia. Il dolore per la morte di un figlio difficilmente può lasciare spazio a riflessioni e considerazioni razionali, lo so. Per questo bisogna lavorare prima che capiti. Bisogna far circolare il messaggio che l’unica maniera per dare un significato ad una perdita sia ridare vita». Amelia da 187 giorni aspetta il suo regalo. È sotto adrenalina, infusa direttamente nel suo cuore malato, per questo non può lasciare l’ospedale. Tornerà a casa solo dopo che avrà quello nuovo. E andrà a Gardaland.

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