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L'asteroide

A caccia del misterioso meteorite caduto sulle colline veronesi 350 anni fa

Francesco Sauro e Giorgio Tomelleri cercano frammenti del masso caduto sulla terra, convinti che il pezzo più grande sia a Verona
Giorgio Tomelleri con il frammento di meteorite e con l'astronauta Samantha Cristoforetti
Giorgio Tomelleri con il frammento di meteorite e con l'astronauta Samantha Cristoforetti
Giorgio Tomelleri con il frammento di meteorite e con l'astronauta Samantha Cristoforetti
Giorgio Tomelleri con il frammento di meteorite e con l'astronauta Samantha Cristoforetti

Dove sarà finita quella pietra venuta dal cielo? Potrebbe essere incastonata in qualche edificio, abbandonata in uno scantinato, avvolta dalla vegetazione di un giardino. Qualche frammento potrebbe essere diventato addirittura un fermacarte posato su una scrivania. Perché per riconoscere di cosa si tratta davvero servono occhi esperti come quelli del geologo Francesco Sauro e di Giorgio Tomelleri che, con la moglie Lina, è tra i più grandi esperti italiani di meteoriti.

 

L’asteroide

Sì, perché quel masso caduto oltre 350 anni fa nelle campagne di Vago di Lavagno era un asteroide arrivato sulla Terra. Considerata la rarità, alcuni pezzi sono custoditi come reliquie in prestigiosi musei ma resta un mistero dove si trovi parte cospicua di questa roccia spaziale, straordinaria per le informazioni scientifiche che può fornire. Senza contare l’orgoglio, per Verona, di poter avere uno tra i meteoriti più importanti al mondo.

Sauro e Tomelleri non hanno dubbi: «Non può essere svanito nel nulla. È da qualche parte e il nostro timore è che sia in stato di abbandono». Per questo si sono messi sulle tracce dell’oggetto a partire dal primo documento che riferisce dell’evento del 1668: il volume «Historia di Verona» pubblicato dal conte Lodovico Moscardo, eclettico collezionista la cui raccolta costituisce il nucleo originario del Museo Fondazione Miniscalchi Erizzo.

 

La cronaca

Alle 5 del mattino del 20 giugno «un horrido, e spaventoso rumore vomitò tre Pietre», descrive il nobile veronese. Accenna a una palla fiammeggiante che attraversò il cielo della città. Il rumore causò il crollo delle case, spaventando persone e animali. «La maggiore di queste pietre», spiega il geologo citando il testo, «finì nei pressi della cosiddetta Villa del Vago, non lontano dai campi detti Macchie lunghe, di proprietà dei monaci dell’abbazia di Montecassino legati alla chiesa di San Nazaro».

Altri due pezzi caddero poco lontano, riassume Tomelleri, «per una massa totale, pesata da Moscardo, di 227 chilogrammi». La storia è piuttosto avvincente. A ricostruirla contribuisce nel 1994 un ricercatore del dipartimento di Fisica dell’Università di Padova, Massimo Tinazzi, che fornisce altri significativi dettagli. Circoscrive l’area di caduta del meteorite più grande tra Formighè, Santa Croce, Ca’ del Gallo, Torre Orti e Busolo tra i comuni di Vago di Lavagno e Caldiero. Inoltre, riporta le «Note overo Memorie del Museo del conte Lodovico Moscardo», sorta di catalogo datato 1672 in cui si accenna alla presenza di pietre «ceraunie» precipitate dal cielo. All’epoca andavano a ruba tra i collezionisti.

Di tre piccolissimi frammenti è nota l’attuale collocazione: «Uno si trova al Museo di Storia naturale di Parigi, uno è a Londra mentre il più grande è al Museo di Storia naturale di Vienna», rivelano Sauro e Tomelleri, convinti che la parte più grande (di decine di chilogrammi) sia da qualche parte a Verona. Lasciata in qualche angolo o nelle mani di chi magari non ha coscienza di cosa si tratta. Frammenti «Attualmente nella Fondazione Museo Miniscalchi Erizzo, dove confluirono le collezioni del conte Moscardo, pare non ci sia nessun frammento ma riuscire a distinguere un meteorite non è facile», sottolinea Sauro, che si rende disponibile a visionare i depositi del museo assieme a Tomelleri per andare alla ricerca dei materiali perduti. Sperano anche di estendere le indagini a Villa Moscardo Dal Bosco, edificio oggi abbandonato, e passato dalla proprietà di diverse famiglie, che si trova nel comune di Colognola ai Colli, non lontano dalla zona di caduta del meteorite.

Tomelleri ricava da un documento del 1708, una lettera del conte Francesco Carli pubblicata sulla rivista «Galleria di Minerva», ulteriori dati relativi al rinvenimento del misterioso oggetto: «La pietra, sprofondata nel terreno circa 60 centimetri, era circondata da croste annerite e increspate. Di color cenere, disseminata da piccoli punti dell’aspetto del ferro, emanava un cattivo odore di zolfo». Dettagli che confermano si trattasse proprio di un meteorite, cioè di quel che resta di un asteroide che ha vagato nello spazio prima di attraversare l’atmosfera e cadere sulla Terra.

 

Analisi

Che aspetto potrebbe avere oggi? «Dalle analisi effettuate sulle altre rocce, si tratta di una condrite ordinaria. Essendo trascorsi parecchi anni, potrebbe avere una superficie scura, ormai ossidata perché ricca di metallo e ferro», osserva il cacciatore di meteoriti che ha partecipato con la sua collezione ai corsi Pangaea per gli astronauti dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. È un materiale che può facilmente passare inosservato se, appunto, non viene visionato da esperti. «Chiunque ha delle informazioni o una vecchia pietra di quell’aspetto in casa, ci contatti», concludono, lanciando un appello e ribadendo ancora il valore che, una volta analizzato a livello geo-chimico, questo ritrovamento potrebbe avere per la scienza. «Si tratta delle rocce più antiche del sistema solare», concludono, «quindi da esse possiamo ottenere notizie sulla genesi del sistema solare». Per contatti, scrivere a progettonovaera@gmail.com.

Marta Bicego

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