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Il 17 aprile 1990

«Patrizia è libera. Fine di un incubo»: la liberazione della piccola Tacchella

Il 17 aprile 1990 la figlia di 8 anni dell'imprenditore Imerio Tacchella venne liberata dopo essere stata rapita a pochi metri da casa e sequestrata per 79 giorni
La piccola Patrizia Tacchella subito dopo la liberazione
La piccola Patrizia Tacchella subito dopo la liberazione
La piccola Patrizia Tacchella subito dopo la liberazione
La piccola Patrizia Tacchella subito dopo la liberazione

«Sì che l'ho avuta paura, ma per poco. Solo il primo giorno. Poi mi sono fatta coraggio e non ho mai pianto, sai, non ho mai pianto. Non volevo mi vedessero quelli...». Parlava così Patrizia Tacchella, 8 anni, il giorno dopo la liberazione avvenuta il 17 aprile del 1990, dopo 79 giorni di sequestro.

Il suo coraggio e la sua forza d'animo hanno commosso l'Italia intera, una nazione rimasta con il fiato sospeso e le speranze accese per quasi tre mesi.

La liberazione

«Patrizia è nata per la seconda volta», scriveva L'Arena prendendo in prestito le parole di uno striscione appeso al balcone di casa Tacchella. «Patrizia, hai vinto tu», dicevano i compaesani tra le lacrime di gioia mentre l'attendevano trepidanti il rientro a Stallavena.

Una storia a lieto fine con tanti protagonisti, ma con un'unica vera «diva»: proprio lei, Patrizia, una bimba curiosa e vivace, forte e solare, e con una fiducia incrollabile negli adulti tanto da non dubitare mai che sarebbero venuti a salvarla. Settantanove giorni di prigionia passati a scrivere letterine e a disegnare, a guardare cartoni animati e a dire preghierine, certa che il suo «angelo custode» le fosse accanto e che l'avrebbe aiutata.

La prima pagina de L'Arena per la liberazione di Patrizia Tacchella
La prima pagina de L'Arena per la liberazione di Patrizia Tacchella

La vicenda

Il 29 gennaio del 1990, Patrizia viene catturata da un uomo, sceso da un'auto scura, mentre attraversa la strada a cento metri da casa, a Stallavena, e sparisce nella fitta nebbia. L'allarme scatta solo più tardi quando la bimba, che doveva trovarsi con le compagne di scuola, non fa rientro.

Nei giorni successivi i familiari lanciano appelli e anche Papa Giovanni Paolo II chiede ai rapitori di restituire Patrizia alla famiglia. Intanto le indagini proseguono su più fronti, tra rastrellamenti nella zona montana e ipotesi che sembrano indirizzare verso l'Anonima calabrese.

Ma solo il 2 febbraio arriva la prima telefonata da parte dei sequestratori alla famiglia che, il giorno successivo, chiede il silenzio stampa. Inizia così un calvario che si protrae tra l'arrivo di prove certe che la bimba era viva e richieste contrastanti da parte dei rapitori, mentre l'opinione pubblica si mobilita con una serie di iniziative.

Tra le più virali quella dell'invio all'allora presidente Cossiga di migliaia di cartoline con l'immagine della piccola Patrizia e i nomi di altri sequestrati (Carlo Celadon, Andrea Cortellezzi, Mirella Silocchi e Vincenzo Medici) con la richiesta alle istituzioni di «debellare la vergognosa piaga dei sequestri di persona».

La «linea dura»

Ma è solo con la cosiddetta «linea dura» e il blocco dei beni della famiglia Tacchella da parte della Procura della Repubblica, il 2 marzo, che di fatto si velocizza la liberazione della piccola Patrizia. E mentre il 16 aprile si svolge la «Marcia dell'angelo», l'ultima manifestazione per mantenere viva l'attenzione sui rapimenti, i carabinieri sono già nei pressi della villetta disabitata di Santa Margherita Ligure dove il giorno successivo mettono in atto il blitz per liberare Patrizia.

«Non mi aspettavo i carabinieri», racconta la piccola a Bruno Panziera, cronista de L'Arena. «E quando sono entrati in casa mi sono nascosta un attimo. Ho pensato fosse un altro rapimento. Invece ho capito subito che quelli mi volevano tanto bene. E mi hanno riportato a casa».

Le indagini

Furono 22 i contatti che i tre rapitori ebbero con la famiglia nei 79 giorni di sequestro. Telefonate che sono risultate determinanti quando si è scoperto l'utilizzo di un radiotelefono: dai tabulati si è arrivati all'operazione, coordinata dalla dottoressa Barbaglio, sostituto procuratore, che portò alla liberazione di Patrizia e, contemporaneamente, all'arresto ai suoi tre carcerieri da parte dei Gis (Gruppo interventi speciali), i carabinieri e i poliziotti di Verona, capeggiati rispettivamente dal tenente colonnello Giampaolo Ganzer e dal vicequestore Armando Zingales.

La confessione degli arrestati

La confessione dei tre arrestati nel blitz nella villetta è arrivata il 19 aprile durante l'interrogatorio di garanzia condotto in carcere a Chiavari dalla stessa Barbaglio.

«Siamo noi gli unici autori del sequestro, nessun altro ha collaborato» dissero i tre - battezzati dalla stampa «L'Anonima piemontese» - cercando di scagionare due donne, legate sentimentalmente ai rapitori, finite nell'inchiesta e arrestate a Torino.

Il 18 maggio del 1990 i tre furono condannati a vent'anni di reclusione. Il pubblico ministero aveva chiesto 30 anni con la riduzione di un terzo previsto dal rito abbreviato. Sentenza confermata in appello il 6 marzo dell'anno successivo.

Il perdono

La giustizia non perdona, ma lei, la piccola Patrizia con un cuore gigante, invece sì e solamente un mese più tardi: «In questo giorno della mia prima Comunione, seguo l'esempio di Gesù e anche io perdono le persone che mi hanno sequestrata», disse in una chiesa gremita». E aggiunse: «Che non facciano più sequestri. Ormai ho dimenticato, non ho più rabbia, prego per la piccola Santina e tutti gli altri sequestrati».

Venticinque anni dopo, l'incontro con l'angelo liberatore

Patrizia nel novembre del 2015, 25 anni dopo il sequestro, ha incontrato il comandante Alfa, il capitano del Gruppo di intervento speciale dell'Arma dei carabinieri (Gis), che ha partecipato alla sua liberazione. Un momento riservato, al circolo Ufficiali, durato pochi minuti, ma carico di significati e di qualche lacrima.

Giorgia Cozzolino

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