Il «Nerone dell’Adige Fratta» - come è stato ribattezzato il misterioso piromane che, a partire dalla scorsa primavera, ha appiccato quattro roghi tra Minerbe e la vicina Bonavigo - ha ora un volto e un nome. Almeno stando alle indagini condotte dai carabinieri della stazione cittadina che, grazie agli elementi raccolti in questi mesi, sono riusciti a chiudere il cerchio sugli incendi di chiara matrice dolosa. Tutti divampati, fortunatamente, senza ferire nessuno e causando solamente qualche danno a stabili abbandonati e a terreni agricoli. È stato infatti denunciato alla Procura di Verona un 20enne della zona, che tra l’altro era già noto alle forze dell’ordine. L’accusa è quella di incendio doloso punita dall’articolo 423 del codice penale.
La preoccupante sequenza di fuoco e fiamme, che ha tenuto in scacco per quattro mesi forze dell’ordine, vigili del fuoco e volontari, è iniziata lo scorso 6 giugno in centro a Minerbe. Quel giorno - era una domenica mattina e in paese era in corso il mercato settimanale - ignoti incendiarono un locale dell’ex stazione ferroviaria di viale Ungheria. Il tempestivo intervento dei soccorritori scongiurò conseguenze che potevano rivelarsi devastanti. Fortuna volle che i pompieri riuscirono a circoscrivere in fretta il fuoco, che aveva trovato un facile combustibile in pacchi di carta accatastati. Evitando così che venisse compromessa la stabilità del fabbricato.
In quella circostanza, che richiamò sul posto i carabinieri di Cologna e pure il sindaco Andrea Girardi, venne notato un ragazzino allontanarsi dalla vecchia stazione. Vale a dire - in base agli accertamenti svolti in seguito eseguiti dai militari del maresciallo capo Simone Bazzani - lo stesso notato nei luoghi dove sono scoppiati gli altri roghi a ripetizione. A partire da quello che interessò il 10 luglio, ad Orti di Bonavigo, l’area a ridosso del campo sportivo parrocchiale. Nell’occasione, i carabinieri identificarono il 20enne, il quale giustificò la sua presenza asserendo che stava giocando a calcio e di aver visto alcuni ragazzini scappare. Si arriva poi al 10 agosto quando un agricoltore minerbese e sua moglie sorpresero un giovane dare fuoco a dalle sterpaglie in un campo di loro proprietà situato in via San Lorenzo, una stradina chiusa che porta ad Orti.
Infine, il 29 settembre l’ultimo raid del piromane misterioso: ad ardere furono 60 metri quadrati di sterpaglie, e non certo per autocombustione o altri eventi naturali, sempre nelle vicinanze di via San Lorenzo. Ed anche allora intervennero carabinieri e vigili del fuoco. Una quaterna di episodi ormai preoccupante, che ha fatto temere agli investigatori di trovarsi alle prese con un emulo di «Attila»: l’incendiario che dal 2010 ha colpito un centinaio di volte a Cologna e in altri centri dell’Adige Guà incendiando argini e cigli stradali. Ma, complici le testimonianze e i controlli incrociati dell’Arma, il «giallo» a Minerbe è durato molto meno. E potrebbe essere già stato risolto dopo la denuncia a piede libero del 20enne. Una svolta nelle ricerche, che ha messo nuovamente nei guai il giovane: nel 2016, il presunto piromane era stato infatti già denunciato, allora al Tribunale dei minorenni di Venezia, assieme a un coetaneo marocchino, per simulazione di reato e tentato furto in abitazione, dopo una serrata indagine condotta dallo stesso maresciallo capo Bazzani con i militari del Nucleo operativo e Radiomobile di Legnago, coordinati dal luogotenente Mauro Tenani. I due amici avrebbero finto un pestaggio a sfondo razzista per simulare una razzia, poi fallita, in una dimora storica di Orti.
A CACCIA DI «ATTILA»
Anche Cologna è stata colpita per anni dalle scorribande di un piromane. Che però è sempre riuscito a farla franca. Non è mai stato individuato infatti dalle forze dell'ordine, che pure lo tallonavano con servizi mirati lungo gli argini, l'individuo che dall'estate del 2010, ininterrottamente, fino al 2017 ha appiccato quasi un centinaio di incendi vicino al centro abitato di Cologna e nelle campagne circostanti. Al piromane è stato dato un soprannome, Attila, perché i luoghi dove agiva preferibilmente non erano affollati o vicini a case e giardini. Attila aveva come bersaglio frequente le zone piene di sterpaglie, le aree incolte dove l'erba cresceva rigogliosa nei mesi estivi. Dopo che lui aveva appiccato i roghi, di solito gettando bottigliette incendiarie, restava solo un deserto nero di fuliggine e non cresceva più l'erba per mesi. I suoi roghi partivano, spesso, a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro, sul terrapieno del fiume Guà e sui cigli stradali. Il misterioso incendiario colognese, come quello di Minerbe, non ha mai avuto l'intenzione di ferire le persone né di provocare danni alle abitazioni. Il suo obiettivo era piuttosto quello di vedere il dispiegamento di mezzi per lo spegnimento. Ciò che lo esaltava di più erano lo scalpore e la risonanza delle sue «gesta», nient'affatto eroiche, visto che hanno creato problemi alla viabilità in molte occasioni e hanno tenuto occupate squadre di pompieri che avrebbero potuto ritardare qualche grave intervento a causa dell'idiozia di un mitomane. Qualche raid incendiario è avvenuto a Cologna anche nel 2019, nel 2020 e pure quest'anno, ma sembra che dietro non vi sia più la mano di Attila. Chissà cosa o chi l'ha convinto a smettere.