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Cologna Veneta

Matteotti, 100 anni dalla dolce lettera che scrisse al paese

di Paola Bosaro
È passato un secolo dalle parole del deputato martire all’albergo che lo ospitò nel 1924, un mese dopo venne ucciso
La lettera su carta intestata della Camera all’albergo Rocca scritta da Giacomo Matteotti
La lettera su carta intestata della Camera all’albergo Rocca scritta da Giacomo Matteotti
La lettera su carta intestata della Camera all’albergo Rocca scritta da Giacomo Matteotti
La lettera su carta intestata della Camera all’albergo Rocca scritta da Giacomo Matteotti

«Spero di tornare a Cologna, dove trascorsi ore liete». Sono passati 100 anni da una lettera che, a leggerla oggi, mette i brividi. Il deputato socialista, e convinto antifascista, Giacomo Matteotti, un mese prima del suo assassinio, scrisse dalla Camera dei Deputati un breve messaggio ai titolari dell’albergo La Rocca di Cologna.

Auspicava di tornare nel paese veronese dov’era stato accolto con affetto e benevolenza nel 1916, durante la prima guerra mondiale, confinato dalle autorità militari perché convinto antimilitarista e «sobillatore». Chissà, forse temeva per la sua vita e voleva allontanarsi per un po’ da Roma, o forse stava cercando conforto negli amici lontani, sentendo crescere attorno a sé un odio difficile da contrastare.

Il discorso alla Camera

Il 7 maggio 1924 Matteotti scrisse all’albergatore e alla moglie. Solo un mese dopo, il 10 giugno, il deputato di origine rodigina fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini, su ordine del Duce. Ad aprile si erano svolte le elezioni, le ultime a cui avevano partecipato più partiti: il partito fascista prese due terzi dei seggi, in base alla Legge Acerbo approvata l’anno prima. Il 30 maggio del 1924, alla prima riunione della nuova Camera dei Deputati, Matteotti contestò la validità della consultazione elettorale, «svoltasi sotto la minaccia di una milizia armata, al servizio del capo del governo».

L’insofferenza di Benito Mussolini nei confronti del suo ex collega di partito si fece sempre più manifesta e qualcuno lo sentì dire: «Quando sarò liberato da questo rompic... di Matteotti?». Ad un deputato socialista che si congratulava per l’efficacia del discorso, Matteotti replicò amaro: «Io il mio discorso l’ho fatto, adesso preparatevi a fare la mia orazione funebre». 

La corrispondenza

In mezzo a questi tremendi avvenimenti, c’è la lettera ai colognesi. Così dolce e spontanea. Matteotti ricorda con affetto il tempo passato a Cologna, «grato del trattamento sempre cortese e simpatico che la gentile padrona e tutto il personale ci facevano».

Il 9 agosto del 1916, a 31 anni, sebbene fosse figlio di madre vedova e avesse problemi polmonari, fu arruolato e mandato il più possibile lontano dal fronte, per impedirgli di fare propaganda contro la guerra. Rimase poco a Verona, poi fu confinato due mesi a Cologna e, infine, mandato a Messina dove rimase fino al 1919, quando ottenne la licenza illimitata.

Trascorse le settimane a Cologna leggendo, riposandosi e scrivendo alla moglie Velia, che aveva sposato a gennaio. Lei gli rispondeva preoccupandosi che stesse bene, che non mangiasse cibi grassi, che applicasse la lozione per capelli che gli inviava. Gli scritti epistolari sono raccolti in «Lettere a Giacomo», a cura di Stefano Caretti.

La lettera partita da Roma per Cologna, invece, ha avuto un destino diverso e molto curioso. Quando si venne a sapere dell’omicidio Matteotti, l’albergatore voleva distruggerla per timore di ritorsioni dei fascisti. Il socialista Nunzio Bacciga, suo amico, se la fece consegnare e promise che non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Finita la guerra, Bacciga espose per anni il documento nella sede colognese del PSI.

Alla chiusura della sezione, la lettera venne affidata alla nipote di Nunzio, Eliana, che la conserva ancora oggi gelosamente. Eliana è lieta di condividere coi suoi concittadini i contenuti di una missiva autografa così preziosa, scritta 100 anni fa da un martire veneto della libertà.

 

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